L’uragano Trump sta per scatenarsi sull’America, anzi, sul mondo, anche sull’Ucraina.
Mentre Biden cerca sé stesso per sapere dove è andato a finire e i suoi stanno per prenotargli un volo di sola andata per la Kamchatka, Zelensky ha già telefonato al tycoon. È presto per congratularsi per l’elezione a presidente, ma non è troppo presto per prendere certe precauzioni.
“D’accordo, si fa per dire, che non ci darai più armi, ma come pensi di stabilire la pace tra noi e la Russia?”. Così il presidente ucraino ha cominciato a pensare che forse, mettendo per ora da parte i sogni di vittoria, è meglio iniziare finalmente a trattare con il nemico. In fondo si viene dalla stessa storia, si parla più o meno la stessa lingua, e si ha in comune qualche centinaia di migliaia di morti e di feriti.
Sì, partendo da un dolore comune, quello del proprio popolo, si potrebbe trovare un buon punto di partenza. Il dolore di una madre di Kharkiv non è molto differente da quello di una di San Pietroburgo, e neanche da quello di una madre di Grozny (capitale della Cecenia) che si sta ancora domandando perché suo figlio doveva andare a combattere contro gli ucraini, se fino a qualche anno fa passavano insieme le vacanze a Soči.
Il fatto è che, come ho già provato a spiegare, la pace “imposta” da Trump, se spaventa gli ucraini, non è che lascia del tutto tranquilli neanche i russi. Sarebbe una diminuzione di una loro presunta vittoria. Inoltre lascerebbe la Russia definitivamente nelle mani di quella Cina che si sta comportando come “protettore” di Mosca, nel senso peggiore del termine. Paradossalmente la Russia non vuole diventare una specie di protettorato del grande vicino asiatico, ha bisogno di rapporti amichevoli anche e forse innanzitutto con gli USA.
In questo senso anche la proposta che nel piano di pace sia previsto che l’Ucraina entri simultaneamente nella NATO e nel CSTO non è una cosa così folle come potrebbe sembrare.
Certo, Trump è un tipo imprevedibile, da uno così ci si può aspettare di tutto, ma proprio la vicenda del “deperimento” di Biden forse ci sta dimostrando che al di là dei due contendenti c’è ancora un’America che pensa al proprio futuro e che forse comincia a pensare che una democrazia fondata sul conflitto piuttosto che sulla ricerca del bene comune, va proprio un po’ riformata. Non posso credere che questo grande Paese, che ha dato un contributo fondamentale alla lotta contro il nazismo e alla ricostruzione dell’Europa, non abbia al proprio interno forze capaci di riunire il popolo sulle questioni fondamentali e di porsi nel mondo come punto di riferimento affidabile.
P.S.: Comunque, se fosse possibile, proporrei di mandare in prestito agli USA con diritto di riscatto Mattarella per un paio d’anni. Con tutti i suoi limiti sarebbe meglio di quella “strana coppia”.
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