Giampiero Gualandi può uccidere ancora, per questo deve restare in carcere: a stabilirlo è il tribunale del Riesame, che ha negato la scarcerazione richiesta dai legali dell’ex comandante accusato dell’omicidio della vigilessa Sofia Stefani, avvenuto il 16 maggio scorso ad Anzola nell’Emilia, in provincia di Bologna. Nelle motivazioni della decisione, i giudici smontano la versione fornita da Gualandi e lo descrivono come un uomo con una freddezza fuori dal comune, capace di portare avanti la sua azione con modalità caratterizzate da una «inquietante spregiudicatezza», inoltre è privo di remore e scaltro, anche per quanto riguarda il tentativo di alterare il quadro probatorio. Infatti, il Riesame ritiene che abbia inscenato l’aggressione della vittima nei suoi confronti per simulare un incidente, «preordinando» la pistola che si trovava nell’ufficio del commissario capo per essere pulita.
Infatti, la presenza della pistola non era fortuita: era stata preordinata proprio in vista dell’incontro con Sofia Stefani, con la giustificazione che doveva essere pulita. Per quanto riguarda la presunta aggressione della vigilessa nei suoi confronti, il Riesame ha riscontrato molteplici elementi di inverosimiglianza, mentre ritiene illogica la dinamica della presunta colluttazione. Anzi, per i giudici Giampiero Gualandi avrebbe gettato a terra alcune cose presenti all’interno di un armadio per simulare la reazione furibonda della donna per la fine della loro relazione extraconiugale e nascondere l’omicidio di Sofia Stefani. Stando a quanto riportato dal Corriere della Sera, la parte anteriore del proiettile, ritrovata sotto un sacchetto caduto dall’armadio, fa ipotizzare che il disordine sia stato creato ad hoc dopo lo sparo. Peraltro, risulta strano per il Riesame che quello scompiglio non abbia causato rumori tali da attirare l’attenzione dei colleghi.
OMICIDIO SOFIA STEFANI, LE ANOMALIE NELLA VERSIONE DI GIAMPIERO GUALANDI
Per quanto riguarda poi la dinamica dello sparo, che è al centro di una perizia balistica, i giudici del tribunale del Riesame ritengono anomalo che Giampiero Gualandi, durante la presunta lite in cui Sofia Stefani avrebbe provato ad afferrare la pistola, non abbia bloccato la vigilessa per impedire di prenderla, ma abbia preso lui l’arma, poggiando il dito sul grilletto e sbloccando il tasto di sicurezza del carrello, “attivando” l’arma. I giudici contestano anche la manovra dell’ex comandante che ha spostato il caricatore dalla scrivania alla scatola del kit di pulizia, dove c’era la pistola, mentre i carabinieri gli intimavano di uscire e il cadavere della vigilessa era a terra. Peraltro, ciò vuol dire che il caricatore era stato estratto di nuovo e riarmato e che lui avrebbe provato a inserirlo di nuovo, senza però riuscirci perché notato dai carabinieri accorsi sul posto dove sarebbe avvenuto l’omicidio di Sofia Stefani, non l’incidente.
Dagli elementi raccolti si evince, secondo i giudici, l’intenzionalità di Giampiero Gualandi nello sparare al viso della vigilessa. Visto che la difesa, che sostiene la tesi dell’incidente anziché quella dell’omicidio di Sofia Stefani, aveva depositato i primi rilievi dell’autopsia, da cui si evince un taglio su una mano e della polvere nera sull’altra, verranno effettuati nuovi esami. Oltre alla perizia balistica, che confermerà o smentirà la versione della difesa, sono previste misurazioni sul corpo dell’ex comandante, in particolare di braccia e gambe, per ricostruire l’altezza da cui è partito lo sparo. Si ritiene al momento che il colpo abbia colpito orizzontalmente la vigilessa, con una lieve inclinazione dal basso verso l’alto, ma si attendono appunto le nuove perizie per avere elementi precisi.
Come ricostruito dal Corriere, il Riesame ritiene plausibile l’ipotesi che Giampiero Gualandi non abbia retto la pressione emotiva della vittima, che aveva atteggiamenti «assillanti o persecutori» nei suoi confronti, arrivando così a perdere il controllo al punto tale da ritenere che l’omicidio di Sofia Stefani fosse la soluzione ai suoi problemi. Per i giudici il rischio che possa commettere nuovi atti violenti e lesivi, anche gravi, in caso di nuove condizioni di stress e malessere rappresenta uno dei motivi per i quali l’ex comandante deve restare in carcere per l’omicidio di Sofia Stefani. Ma il difensore sta preparando già il ricorso in Cassazione.