È un po’ lo Shangri La della politica italiana, il centro. Un luogo mitologico che periodicamente sembra apparire in lontananza, ma che nessuno riesce a raggiungere. Un luogo che in tanti cercano da almeno un trentennio, da quando venne spazzato via dalla fine della Democrazia Cristiana e della “prima repubblica”, ma che in epoca di bipolarismo nessuno è mai riuscito ad occupare per davvero.
Essere decisivi dal centro è stato il sogno cullato da tanti. I primi furono Segni, nel 1994, e Bossi nel 1996, poi un lungo buio con l’area centrista divisa fra i due schieramenti. Solo nel 2013 e 2018 il bipolarismo che faticosamente si è affermato con la “seconda repubblica” ha scricchiolato, ma la sfida del Movimento 5 Stelle era antisistema, non di centro. Alle elezioni del 2022 la scommessa centrista aveva riscosso un discreto successo, con il terzo polo a sfiorare l’8%, un tesoretto importante, di oltre due milioni di voti. Tesoretto inutile – visto che la frammentazione del campo delle opposizioni ha consentito il formarsi di un’ampia maggioranza di centrodestra – ma concreto.
Lo Shangri La del centro è sembrato ancora una volta svanire all’orizzonte con le elezioni europee di giugno, dove le gelosie e le ripicche dei due galli nel pollaio (Renzi e Calenda) hanno portato alla presentazione di due liste, entrambe rovinosamente rimaste sotto la soglia di sbarramento del 4%.
Questa lunga premessa è necessaria per inquadrare la “mossa del cavallo” di Matteo Renzi, che con l’ennesimo repentino cambio di linea politica ha professato la necessità di un campo larghissimo, da Italia viva a Verdi-Sinistra come unica strada per battere la destra. Basta la botta rimediata alle europee per spiegare la giravolta? Spiega molto, ma non tutto. Perché l’ex sindaco di Firenze si dimostra il più lesto a leggere la fase politica, ed agisce per massimizzare la sua posizione.
Non è un mistero che Renzi abbia a lungo accarezzato l’idea di insinuarsi fra gli elettori moderati del centrodestra, molto affini ai suoi su tematiche delicate come giustizia e libertà economiche. Forse ha davvero sperato di raccogliere una parte significativa dell’eredità politica di Silvio Berlusconi. Ma Forza Italia, anziché sfarinarsi, ha dimostrato un’inattesa vitalità: si è consolidata, grazie anche alla mancanza di concorrenza, visto che Salvini ha mantenuto la Lega su posizioni fortemente eurocritiche, cercando di rubare voti più ai perplessi della svolta centrista della Meloni che non a Tajani. L’area moderata del centrodestra, insomma, non è rimasta sguarnita. E, detto per inciso, potrebbe rivelarsi un errore se la spinta della famiglia Berlusconi per un maggior protagonismo sul terreno dei diritti civili finisse per snaturare la delicatissima alchimia che Tajani ha pazientemente costruito nell’ultimo anno.
Nell’area del centrodestra, insomma, oggi per Renzi non c’è spazio politico. È diventata una scelta obbligata, di conseguenza, guardare al campo opposto, anche per via del riavvicinamento fra Pd e M5s. Un processo favorito dall’ insistere di Elly Schlein su temi cari ai grillini. Ma se la segretaria sposta il baricentro del suo partito a sinistra, nell’area centrale del centrosinistra si crea un vuoto: è lo spazio che Renzi vuole occupare. Del resto, nei mesi scorsi si è fatto un gran parlare di rispolverare qualcosa di simile alla Margherita, per dare una casa a quei moderati (ex popolari e simili) che nel Pd tutto diritti civili si sentono sempre più a disagio.
Operazione fattibile, oppure ennesimo azzardo renziano? È presto per dirlo, anche se la sua intervista è stata accolta con interesse, nella consapevolezza che solo unendo tutte le forze di opposizione si può immaginare di essere competitivi con il centrodestra di Giorgia Meloni (a meno di improbabili iniziative che rompano l’alleanza dall’interno).
Resta un punto: la storia politica italiana dimostra che le alleanze “contro” possono vincere, ma difficilmente governano. Spetta ai protagonisti smentire i precedenti e dimostrare che un campo larghissimo da Renzi a Ilaria Salis sia in grado di evitare di finire come l’Unione. Quell’armata Brancaleone che andava da Mastella a Turigliatto che implose nel gennaio 2008.
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