L’estate è uno spazio dove il tempo assume forme e durate che variano da persona a persona, da età ad età. C’è l’estate lunga degli adolescenti, che tornano dalle vacanze con diversi mesi di coscienza in più, c’è l’estate un po’ spaesata di chi è giovane e comincia a prendere le misure con un tempo che – apparentemente – è sempre meno libero. C’è poi l’estate degli adulti, presi dal lavoro e dalle cose di sempre, in cui abitudini giovanili si sommano a responsabilità a volte gravose e difficili. E infine c’è l’estate degli anziani, un’estate velocissima ma intensa, spesso complicata dalle condizioni proibitive del meteo.
Ci sono molte estati in un’unica stagione, ma per tutti quanti i giorni della canicola sono i giorni in cui ci si ferma, si rallenta, ci si guarda. È lo sguardo di chi traccia un bilancio, prova ad unire problemi e opportunità, paure e speranze. A che punto siamo della vita? A che punto siamo del cammino?
Il tempo non ammette repliche: scorre beffardo ricordandoci che siamo noi a passare e non la realtà, le cose, la vita. Non c’è spazio per la malinconia, per certe nostalgie, per le recriminazioni: il Mistero dell’esistenza ci dice che è l’ora di andare, che è sempre l’ora di mettersi in cammino, di fare un altro tratto, di scoprire l’ennesima consapevolezza riservata ai viventi. Tutti abbiamo bisogno di un’estate che ci mostri di più chi siamo, che cosa vogliamo, che cosa resta dei mille desideri della vita e delle difficoltà attraversate. Tutti abbiamo bisogno di uno spazio di consapevolezza sincera e autentica, in cui chiedersi che cosa ciascuno di noi vuole davvero, che cosa ciascuno di noi davvero cerca in questa vita.
Racconta una vecchia storia che, arrivata la stagione estiva, un anziano re si mise in testa di approfittare del buon tempo e delle lunghe giornate per una resa dei conti con i suoi tre figli. Chiamò il figlio bellissimo e si complimentò con lui per la sua prestanza e il suo coraggio. Gli ordinò di risiedere a palazzo con lui affinché tutti lo potessero conoscere e incontrare. Fu la volta del figlio buono. Il re si mostrò molto riconoscente per la sua azione durante l’inverno, ma evidenziò alcune criticità che – a suo dire – avevano messo in difficoltà non solo la famiglia reale, ma l’intero reame. Ordinò che andasse nelle campagne per alimentare il proprio coraggio e la propria forza, pur rimanendo ad una distanza ragionevole dal palazzo. Fu la volta del figlio brutto, di cui il re si vergognava. Gli furono rivolti innumerevoli rimproveri e fu ritenuto responsabile del maggior numero di problemi occorsi durante la brutta stagione. Il re mandò il ragazzo ai confini del regno, dove nessuno avrebbe potuto vederlo e dove – invece – avrebbe pagato la sua incapacità servendo il proprio paese alla guida dell’esercito che presidiava il confine. Dopo qualche settimana, l’esercito nemico attaccò. Il figlio brutto cercò di rispondere all’attacco, ma nessuno prendeva sul serio i suoi ordini. I soldati fuggirono e i nemici invasero le campagne, razziando le terre dei contadini. Il figlio buono non fu in grado di fermarli, dal momento che la sua bontà poco era utile davanti al dilagare della violenza. Anche i contadini, dunque, si ribellarono contro il re che non li aveva tutelati e si unirono al nemico. L’ira della rivolta, sommata a quella dell’invasione, arrivò a palazzo e a nulla valse la bellezza del primo figlio per salvare il re.
Spesso, quando ci guardiamo, siamo soliti stimare ciò che funziona, biasimare ciò che ci rende uguali agli altri e che ci sembra indice di mediocrità, e allontanare e nascondere ciò che è guasto e non funziona. L’uomo si aggiusta condannando le proprie ferite, mandando in esilio – al confine col nemico – le parti di sé che più lo interrogano e lo mettono in discussione. Così facendo, però, tutto è destinato ad essere travolto. Perché quello che non va, quello che abbiamo riconosciuto difettoso durante l’inverno, non va aggiustato, tagliato, abolito. Ma va amato.
L’estate è il tempo in cui scegliere di tenere tutto quello che siamo dentro al palazzo, perché ogni tratto del nostro umano possa crescere, nutrirsi e portare frutto. Prima o poi tutti dobbiamo scegliere se provare ad amare quello che siamo o se mandare in esilio tutto quello che ci delude. Per questo il Mistero di Dio è entrato nel mondo: per introdurre un giudizio radicalmente positivo sulla nostra miseria, per permetterci di guardarci con speranza. Con misericordia. È vero, la chiamano estate. Per tutti è diversa. Ma per ognuno, in fondo, è il momento della verità.
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