In un’intervista al Corriere della Sera Maurizio Landini si compiace (con pieno diritto visti i risultati) dello sforzo organizzativo sostenuto dalla Cgil nel raccogliere quattro milioni di firme a sostegno dei suoi quattro quesiti referendari in materia di lavoro. E preannuncia un analogo impegno per il referendum promosso dal campo largo (tranne Azione) sulla legge per l’autonomia differenziata. Coi tempi che corrono bisogna riconoscere che sono poche le organizzazioni che hanno la strutture, l’impegno dei funzionari e dei militanti e le risorse economiche per portare a termine un’impresa tanto impegnativa. Come spesso gli succede, Landini spara nel mucchio ed è molto sbrigativo quando è chiamato a rispondere su argomenti che gettano dei dubbi sulla sua narrazione.
Il giornalista (il caro amico Enrico Marro) gli fa notare che da anni cresce il tasso di occupazione, con crescente contributo delle assunzioni a tempo indeterminato. A denti stretti il leader della Cgil lo ammette, ma si guarda bene dal deflettere dalla rappresentazione di una precarietà dilagante. In verità Landini avrebbe degli argomenti migliori da contrapporre a coloro che a suo parere esagerano nell’ottimismo. Per esempio, che nonostante i passi in avanti, l’Italia non scala delle graduatorie in Europa, ma si limita a migliorare il punteggio negli ultimi posti. Il Segretario invece sciorina i numeri che secondo lui, rendono testimonianza di un mercato del lavoro con tanti aspetti negativi. E attribuisce molte di queste deficienze al Jobs Act, senza chiarire l’equivoco.
Il quesito abrogativo non riguarda il pacchetto di decreti delegati che derivano da quella legge di delega del 2014, ma a uno solo di essi recante l’introduzione del contratto a tutele crescenti (dlgs 23 del 2015) assunto come il Maligno che ha tarpato le ali a diritti fondamentali dei lavoratori. Quel contratto ormai depotenziato negli aspetti innovativi dalla giurisprudenza ordinaria e costituzionale, è diventato un simbolo, abbattuto il quale si dovrebbe aprire un’altra pagina nella sinistra di cui Landini si propone come naturale condottiero essendo sue le divisioni corazzate che sfideranno la destra non solo sul piano del lavoro, ma anche delle istituzioni democratiche, minacciate dall’autonomia differenziata e dal premierato.
Gli avvoltoi che svolazzano sul mercato del lavoro, secondo Landini, sono tutti i rapporti di lavoro privi della reintegra in caso di licenziamento, quelli part-time e soprattutto a termine, a cui si aggiungono le collaborazioni e persino le somministrazioni. Per non parlare del lavoro sommerso che è arduo abrogare per referendum, visto che non è disciplinato da nessuna legge, ma si svolge in violazione di un’enciclopedia di leggi. Peraltro, i rapporti c.d. flessibili rispondono a delle esigenze reali e sono regolamentati nelle loro modalità di svolgimento. Come può fare un’impresa ad affrontare dei picchi di produzione senza avvalersi del lavoro a termine o somministrato? Secondo Landini, dovrebbe avere un organico fisso che produce magari per il piazzale e quando non ha ordini chiede la cassa integrazione per il personale in esubero?
Le trasformazioni da tempo determinato del primo quadrimestre 2024 sono risultate 256mila. Contemporaneamente le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo sono risultate 37mila. Il saldo annualizzato, ovvero la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi, identifica la variazione tendenziale su base annua delle posizioni di lavoro (differenza tra le posizioni di lavoro in essere alla fine del mese di aprile rispetto al valore analogo alla medesima data dell’anno precedente). Ad aprile 2024 si registra un saldo positivo pari a 476mila posizioni di lavoro, in leggera riduzione rispetto ai mesi precedenti. Ma non si è mai visto un sindacalista che non valorizzi i risultati della sua attività. A Marro che gli ricorda che sono in corso rinnovi contrattuali con aumenti economici significativi (in relazione al pianto greco dei bassi salari) Landini risponde che ci sono ancora 3 milioni di lavoratori in fase di rinnovo; basterebbe premettere che all’inizio dell’anno erano 8 milioni, per cambiare il giudizio complessivo.
C’è poi un altro tema che Landini non affronta mai: la crisi del lavoro sul lato dell’offerta che ormai è divenuto un ostacolo allo sviluppo e agli investimenti, perché nessun imprenditore acquisterebbero macchinari che non fosse in grado di affidare a mani esperte. Non ho la minima idea di che cosa pensi Landini dell‘homo novus del candidato alla vicepresidente repubblicano negli Usa, J.D.Vance, il quale potrebbe avere la statura necessaria per una leadership di restaurazione sul versante internazionale. A mio modesto avviso, Vance è una sorta di Maurizio Landini laureato a Yale, ma che ragiona come il Segretario della Cgil. Ovviamente il confronto può essere rovesciato. Entrambi sono ostili alla globalizzazione, alla società aperta, alla libertà del commercio, alla competitività, alla mobilità del capitale e del lavoro. E si ergono a difensori dei quei settori della popolazione che non sono all’altezza delle nuove sfide. Il fatto è che il loro non è un impegno di promozione sociale, ma di restaurazione del vecchio assetto con le gerarchie e le garanzie divenute insostenibili. Come se fossero incamminati su di una Via Maestra che non è altro che la “una vecchia frontiera”.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.