Dopo l’introduzione di dazi sulle importazioni di auto elettriche, la Commissione europea ha annunciato dazi temporanei sull’importazione di biocarburanti dalla Cina. I dazi, che dovranno essere confermati entro febbraio 2025, possono arrivare a circa il 36%, un importo significativo, tale da poter riequilibrare parzialmente la situazione.
I dazi sono comunque armi imperfette, che curano i sintomi ma non le cause del problema, e possono avere importanti controindicazioni. I consumatori europei, alla fine, sopporteranno prezzi finali maggiori per quei beni colpiti dai dazi o per quelli prodotti utilizzando tali beni. Vi è poi sempre il rischio di dazi ritorsivi, anche in settori non correlati e l’Italia è particolarmente esposta a questo rischio, in quanto siamo esportatori netti: in un mondo di barriere e guerre commerciali, rischiamo di soffrire più degli altri.
Se nel caso delle auto elettriche il problema di fondo sono gli aiuti di Stato concessi dal Governo cinese ai propri produttori nazionali, per quanto riguarda i biocarburanti, invece, si tratta del sospetto di pratiche fraudolente, ossia l’importazione in Europa di prodotti realizzati con materie prime da noi non ammesse.
Nel nostro continente vi sono vincoli e norme che spingono i produttori di biocarburanti a utilizzare principalmente, se non esclusivamente, materie prime secondarie. Le bioraffinerie di Eni, ad esempio, sono alimentate prevalentemente da materie prime di scarto, come oli esausti da cucina, grassi animali e residui dell’industria agroalimentare. L’obiettivo è comprensibile e, in prima battuta, condivisibile: non si vuole creare concorrenza con beni destinati direttamente o indirettamente all’alimentazione (come il mais) o incentivare la deforestazione (come l’olio di palma). Tuttavia, l’utilizzo quasi esclusivo solo di materie prime di scarto mette i produttori europei in svantaggio rispetto a quelli non europei, i quali risultano più competitivi non perché più bravi o tecnologicamente più avanzati, ma semplicemente perché soggetti a minori vincoli.
Gli effetti possono essere importanti per la competitività, gli investimenti e i lavoratori europei. Qualche mese fa, Shell ha annunciato la sospensione dello sviluppo a Rotterdam di quella che doveva essere una delle maggiori bioraffinerie europee e mondiali. La struttura, per il momento ferma, avrebbe potuto produrre abbastanza biodiesel da ridurre l’emissione di anidride carbonica di quasi 3 milioni di tonnellate all’anno, equivalenti a quelle emesse in un anno da un milione di automobili.
Alcuni settori dell’industria europea hanno segnalato da tempo, e in vari settori, quella che è apparsa come una cecità delle istituzioni europee agli effetti di lungo termine delle proprie decisioni. La scelta della Commissione europea di imporre dazi ai biocombustibili, subito dopo quelli per le automobili elettriche, segnala forse, e auspicabilmente, un cambio di atteggiamento: la progressiva realizzazione che alcune delle regole che l’Europa ha imposto alla propria industria e ai propri lavoratori, sicuramente con obiettivi e ambizioni positive, rischiano invece di danneggiare la competitività del nostro continente, senza peraltro favorire veramente l’ambiente. Sono infatti molti i prodotti la cui manifattura è estremamente vincolata in Europa, ma che poi possono essere liberamente importati.
Le istituzioni europee hanno operato negli ultimi anni come se si potessero avere contemporaneamente standard sociali e ambientali molto più alti che nel resto del mondo, frontiere totalmente aperte e un’industria domestica competitiva. Purtroppo, questi tre obiettivi sono in parziale contraddizione: possiamo sceglierne due su tre, ma non possiamo averli tutti insieme.
Cosa fare quindi? Nel caso dei biocombustibili, per ridurre le importazioni dall’estero e aumentare la nostra autonomia e indipendenza, dovremmo consentire e non vietare l’utilizzo di prodotti agricoli primari, se e quando coltivati in Europa su terreni ora incolti o sottoutilizzati. Se vogliamo veramente renderci il più indipendenti possibile dal petrolio, dobbiamo rafforzare la nostra agricoltura e la nostra industria. È possibile. Abbiamo tutte le conoscenze umane e tecnologiche per farlo. Oltre a tanta terra incolta che potremmo utilizzare. I dazi possono essere una misura utile e, in alcuni casi, necessaria, ma solo temporanea.
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