Quella delle dimissioni del presidente Joe Biden era – anzi, è – “una richiesta più che fondata”. Lo afferma, parlando con il Sussidiario, John Yoo, docente alla Law School di Berkeley (California), esperto di dottrina dell’emergenza e di poteri presidenziali. Infatti – spiega il giurista – “se Biden non è fisicamente o mentalmente in grado di candidarsi per una carica, perché mai dovrebbe continuare ad occupare quella stessa carica e restare Presidente?”.
Ma sono anche altri gli” interrogativi” su quanto è accaduto e potrebbe accadere da ora in poi. Sì, perché nemmeno un Presidente (Biden) è riuscito ad opporsi alla campagna di pressione mediatica che dopo il debate in tv lo ha costretto al ritiro. E poi le primarie, quelle democratiche: la Convention di agosto andrebbe tenuta sotto stretta osservazione, afferma Yoo.
Kamala Harris ha avuto l’endorsement di Barack e Michelle Obama, dopo aver ottenuto il sostegno di Biden. Ma la sconfitta di Biden nel duello in tv è del 27 giugno. Cosa è successo in questo lunghissimo arco di tempo nel partito democratico?
Il Partito democratico ha visto i risultati del sondaggio dopo la disastrosa performance di Biden nel dibattito tv, che hanno mostrato, a livello nazionale, un distacco fra Biden e Trump che andava dai 7 ai 9 punti percentuali. E hanno visto Biden in tutti gli Stati in bilico. I Democratici hanno semplicemente costretto Biden ad andarsene con una campagna di pressione mediatica senza precedenti, che va oltre qualsiasi cosa io abbia visto in vita mia.
Che ruolo hanno giocato i donatori e i Political action committees (PAC) in questa partita di potere?
I ricchi finanziatori del Partito democratico avrebbero smesso di contribuire alla campagna Biden-Harris. E questo è stato un importante strumento di pressione tanto su Biden quanto sui leader del Congresso per indurli a costringere Biden ad abbandonare la partita.
È un dato di fatto che nel suo ultimo discorso tv Biden non ha spiegato in termini sostanziali del suo ritiro. Inoltre si è molto discusso della lettera di rinuncia alla candidatura diffusa dalla Casa Bianca. Cosa pensa del modo in cui il presidente ha abbandonato le presidenziali?
Ho trovato il discorso di ritiro di Biden piuttosto deludente. Non ha spiegato le ragioni che stanno alla base del suo ritiro. Non ha spiegato perché abbia avuto una performance tanto scadente sia nel dibattito tv, sia nelle sue successive uscite in pubblico. E non ha nemmeno spiegato perché sia comunque convinto di essere in grado di assolvere ai suoi doveri d’ufficio da qui al gennaio 2025.
Qualcuno nei Repubblicani ha usato la rinuncia di Biden per chiedere anche le sue dimissioni dalla Presidenza. È una richiesta fondata?
Sì, penso che si tratti di una richiesta più che fondata. Se Biden non è fisicamente o mentalmente in grado di candidarsi per una carica, perché mai dovrebbe continuare ad occupare quella stessa carica e restare Presidente? Si tratta di un caso piuttosto diverso da quello che si è avuto nel 1968 con il ritiro di Lyndon Johnson. Johnson se ne andò non per incapacità fisica o mentale, ma perché la guerra del Vietnam aveva semplicemente reso la sua rielezione impossibile da un punto di vista politico.
Sulla base di tutto questo, non dovremmo porci la domanda su chi comanda davvero in America in questo momento?
Non sono sicuro di chi gestisca le operazioni quotidiane dell’amministrazione. Posso solo immaginare che si tratti di un comitato composto dai massimi dirigenti dello staff di Biden.
Veniamo a Trump. L’attentato è stato rapidamente metabolizzato dai media, anche grazie ai fatti politici che sono seguiti. Kimberly Cheatle si è dimessa. Il caso va considerato chiuso?
Mi aspetto che verranno condotte diverse indagini sul fallimento del Secret Service nel proteggere Trump e sul fatto che l’assassino abbia eventualmente ricevuto supporto da altri. La questione è ben lungi dall’essere chiusa. E le indagini sono ancora in corso.
Le primarie americane sono uno strumento di democrazia invidiato in tutto il mondo; tuttavia occorre chiedersi se funzionino davvero. Nel campo repubblicano si direbbe di sì, nel campo democratico forse un po’ meno: non sappiamo ancora perché Sanders si sia ritirato dalla corsa contro Clinton nel 2016. Da quando le primarie sono entrate in crisi e perché?
Penso che le primarie siano uno strumento profondamente democratico. È vero, non mi sembrano aver fallito nel caso del Partito repubblicano. Trump ha vinto le primarie nel 2024 in modo leale e trasparente. E le ha vinte anche se i leader dell’establishment del partito probabilmente non lo hanno sostenuto. Il fallimento del sistema delle primarie di quest’anno sta nel campo del Partito democratico, che ha nominato Harris come propria candidata anche se non un solo elettore ha votato per lei come Presidente.
A questo punto, siamo certi che i delegati che decideranno di ufficializzare la candidatura di Harris siano veramente liberi? Oppure la Convention di Chicago del 19-22 agosto è già politicamente chiusa?
I delegati sono formalmente liberi, ma politicamente la maggioranza si è impegnata a spostare il suo voto da Biden ad Harris. Vedremo però se manterranno fede alla Convention di Chicago.
Poiché i democratici temono di perdere il Presidente, “Regain the Senate”, riconquistare il Senato, sembra essere il loro vero obiettivo politico, quello da conseguire a tutti i costi. È d’accordo?
Non è corretto. I democratici controllano già il Senato. E semmai avevano paura di perderlo, fosse rimasto Biden al potere. Si potrebbe pensare che la pressione su Biden provenga dai democratici al Congresso che temevano di perdere il Senato e di non riconquistare la Camera.
Sembrano esserci due Americhe, mai così distanti come in questa campagna elettorale. Qual è stato il politico, o i politici, o l’ideologia, o la prassi che ha gettato le basi perché si realizzasse una “rottura” così pericolosa per l’America stessa?
Non credo che in realtà ci siano due Americhe. Non c’è dubbio che la nostra politica sia polarizzata, ma bisogna ammettere che questo è successo diverse volte nella storia americana. Penso semmai che siano i partiti a rimarcare al di là di ogni misura le differenze tra repubblicani e democratici per mobilitare le loro basi ed indurle ad esprimersi con il voto. Ma il dato di fatto è che a decidere le nostre elezioni sono ancora gli indipendenti che stanno al centro.
C’è un fatto curioso che riguarda Trump. DJT prima ha affermato, e poi smentito, di volere Jamie Dimon al Tesoro. Ma Dimon è il campione di un mondo, quello di Wall Street, opposto a quello di Trump. Sul serio si è trattato di un errore? Oppure è un segnale politico?
Sarei cauto a prendere questa dichiarazione di Trump come se si trattasse di un impegno vero e proprio. Trump fa spesso ipotesi in pubblico su chi potrebbe nominare alla fine.
(Federico Ferraù)
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