La recente pubblicazione della tesi di dottorato in teologia di mons. Luigi Giussani intitolata Il senso cristiano dell’uomo secondo Reinhold Niebuhr (San Paolo, 2024) ci fornisce lo spunto – attraverso la prefazione di mons. Delpini – per un excursus nella realtà americana dei primi decenni del secolo scorso.
Scrive l’arcivescovo di Milano a riguardo del pensiero di Niebuhr: “La critica alla teologia accademica e l’avvio di nuovi percorsi trovano argomenti anche nell’umiliazione insopportabile e indifendibile dell’uomo. La teologia liberale, interpretata negli Stati Uniti dal Social Gospel, viveva dell’ottimismo prometeico del mito americano. Dava fondamento teologico all’euforia dello sviluppo industriale e suggeriva di acclamare al successo economico come a un segno del Regno di Dio. Niebuhr, negli anni 1915-1928, incontra le condizioni drammatiche, l’umiliazione dell’umanità dell’uomo, degli operai che lavorano nelle grandi fabbriche di Detroit. L’industrializzazione e lo sviluppo economico mostrano al giovane pastore della Bethel Evangelical Church il prezzo che gli operai devono pagare per arricchire gli altri. Il dramma di cui è testimone diventa per Niebuhr una obiezione alla teologia liberale. Diventa una ragione per intraprendere una riflessione che assuma il dramma del vivere come punto di partenza”.
Se Niebuhr, mosso da questo giudizio, ne ha fatto la chiave per una originale rielaborazione teologica che attirò l’attenzione del giovane Giussani, è interessante riscoprire altri che, sul versante letterario e su quello sociale, hanno documentato e affrontato questa “umiliazione dell’umanità dell’uomo”. Mi voglio riferire qui in particolare a due personalità americane in qualche modo legate tra di loro, come vedremo: lo scrittore socialista Upton Sinclair (1878-1968), autore de La giungla (1906) e l’attivista cattolica Dorothy Day, fondatrice del Catholic Worker (1897-1980).
Sinclair nel suo romanzo La giungla racconta Chicago, la città dei macelli e dell’industria della carne in scatola, pochi anni prima dell’esperienza pastorale di Niebuhr a Detroit, la città dell’automobile. A Chicago le durissime condizioni di vita del proletariato americano non differivano da quelle delle fabbriche di Detroit. Quando si parla di proletariato americano, consideriamo con questo aggettivo tutti gli emigranti accorsi negli States in quegli anni, soprattutto dall’Europa, in cerca di una vita migliore di quella offerta dalla loro madrepatria.
Dorothy Day racconta nella propria biografia Una lunga solitudine che durante i suoi studi presso l’Università dell’Illinois a Urbana le sue letture cominciarono a orientarsi verso una coscienza sociale. Fu in quel periodo che lesse La giungla di Sinclair, potendo anche visivamente riscontrare i luoghi descritti nelle vicende del libro, essendo lei stessa residente in quel periodo a Chicago.
In quelle strade del West Side di Chicago infatti era solita a portare a passeggio il fratellino John, immedesimandosi nelle vicende del protagonista de La giungla, interessandosi alle condizioni umane dei lavoratori e iniziando a simpatizzare per gli ideali socialisti e anarchici. La storia di Jurgis, l’operaio lituano protagonista dell’opera di Sinclair, è infatti – scopertamente, nella parte finale dell’opera – un’apologia del socialismo che non lascia indifferenti.
Le letture giovanili di Dorothy Day (non solo Sinclair, ma anche London, Dickens, Tolstoj, Kropotkin) hanno contribuito in lei a formare una personalità alla ricerca della giustizia sociale, aperta alle sofferenze dei poveri, alla denuncia delle ingiustizie, ma soprattutto alla necessità di porre “opere” per sanare e impedire le ingiustizie stesse. La successiva conversione al cattolicesimo l’avrebbe convinta che l’attenzione ai poveri comportava necessariamente una quotidiana dedizione amorosa nei loro confronti attraverso la condivisione loro bisogni e una vita di povertà.
L’approccio di Sinclair alla povertà e all’ingiustizia è diverso in quanto non contempla l’aspetto religioso, ma ugualmente individua – similmente al cristianesimo – una soluzione comunitaria, priva della dimensione verticale. Lo scopo del suo romanzo era andare al cuore della gente illustrando lo stato miserevole cui erano ridotti i proletari a causa del capitalismo, ma, per sua stessa ammissione, l’opinione pubblica si indignò all’uscita del suo romanzo non perché scandalizzata dalle condizioni di sfruttamento dei lavoratori, ma per il fatto che veniva venduta carne adulterata prodotta in fabbriche non sottoposte ad alcun serio controllo.
La vicenda di Jurgis contraddice esplicitamente l’ottimismo della teologia liberale. Essa è piuttosto una progressiva discesa all’inferno del degrado umano e dell’umiliazione, della perdita della fiducia nel prossimo e in se stesso da parte del protagonista, partito da una superlativa presunzione di saper far fronte a ogni avversità e difficoltà, in forza della propria gioventù e della volontà di riscatto. Vittima di truffe e imbrogli, perde la casa e anche la sua famiglia viene progressivamente distrutta da malattie e disgrazie; poco per volta vengono meno in lui anche la salute e la forza fisica cui si aggrappava invano per mantenere il posto di lavoro e uno stipendio. Esperimenta ubriachezza, mendicanza e carcere. La salvezza dalla criminalità, dal vagabondaggio e dall’alcool arriva alla fine del romanzo: il punto di riscatto è nell’incontro con il sindacato e con il socialismo, che riaccendono in lui un nuovo entusiasmo, nonostante fosse già stato scottato da una precedente esperienza di attivista politico, inquinata dalla corruzione dei procacciatori di voti.
Dal punto di vista letterario è questa, a mio parere, la parte più debole del romanzo, anche perché molto intrisa di retorica ideologica, soprattutto il lungo discorso del leader sindacale, il quale avverte che la vittoria elettorale dei socialisti non è un fatto acquisito per sempre ma da riconquistare ogni volta, poiché le lobbies capitaliste, della carne, delle ferrovie, delle auto si riorganizzano in fretta. La risposta di Sinclair – scandita dalle parole del sindacalista – è “Organizzate! Organizzate! Organizzate! (…) Tutti questi uomini che hanno votato socialista” e che “non sono socialisti”.
È un romanzo utile anche per i giovani di oggi, perché fa dire che “non si può vivere così” di fronte a meccanismi sociali che stritolano senza pietà i più deboli, secondo quella logica dello “scarto” tanto spesso denunciata da papa Francesco e tuttora perdurante anche negli Stati Uniti.
Una vicenda per molti aspetti simile a quella che anni dopo avrebbe raccontato Steinbeck nel suo capolavoro Furore, scritto ai tempi della Grande depressione, storia tragica di una famiglia contadina americana costretta a emigrare alla ricerca di un futuro migliore. A differenza di Sinclair, Steinbeck inserisce nel suo romanzo alcune “perle di gratuità” e di umanità che tengono accesa la fiamma della speranza, un riscatto della “umiliazione dell’umanità dell’uomo” citata all’inizio.
La risposta può venire anche oggi dal riconoscere che nel degrado dell’umanità sfruttata e violentata dal potere c’è, per dirla con Grossman, un “umano nell’uomo che vivrà in eterno e vincerà” (La Madonna Sistina). Mettersi insieme e fare comunità in forza di questo “umano nell’uomo” con un cambiamento già riscontrabile “qui e ora” è la lezione fatta propria in quegli anni da Dorothy Day, da Peter Maurin e dai loro amici del Catholic Worker dentro le contraddizioni del proletariato cittadino americano, partendo dal cambiamento di sé e non dall’organizzazione. Di fronte alle evidenti disparità sociali della società americana odierna, facilmente riscontrabili per chi si accosti agli States dalla porta di New York, la risposta sembra sempre oscillare tra i fautori del “più Stato” e del “niente Stato”. La profezia di Dorothy Day ancora oggi provoca. Basti pensare che un criterio fondante della sua azione sociale era l’assoluta autonomia dalle sovvenzioni statali, rifiutate per una questione di libertà di azione necessaria a garantire all’azione sociale del Catholic Worker la propria identità. Corollario personale per lei fu quello che sembra non sia mai andata a votare alle elezioni presidenziali. Per noi fantascienza, o se preferite, fantapolitica.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.