Javier Marías, nell’Appendice di Un cuore così bianco, scrive: “Esiste un’enorme zona d’ombra in cui solo la letteratura e le arti in genere possono penetrare; di certo, non per illuminarla o rischiararla, ma per percepirne l’immensità e la complessità: è come accendere una debole fiammella che perlomeno ci consenta di vedere che quella zona è lì e di non dimenticarlo”. Tanti sono i testi della nostra letteratura che assolvono a questa particolare funzione. Infatti, quando li leggiamo, penetrano dentro di noi e illuminano la nostra “zona d’ombra”; ci leggono più di quanto noi li leggiamo, ci permettono di non dimenticare la nostra profonda interiorità. Oscar Vladislas Milosz, con il suo Miguel Mañara, è uno scrittore che riesce a illuminare quella dimensione che tante volte tentiamo di nascondere; il suo inchiostro indelebile costituisce quella particolare fiamma che permette ad ogni lettore di accorgersi del proprio buio interiore.
È il motivo per cui questa estate ho proposto a tanti miei studenti la lettura della sua pièce teatrale, scritta nel 1912. Il vuoto esistenziale che tanti ragazzi avvertono, soprattutto nei mesi estivi, quando lo studio, gli impegni scolastici e anche tante altre attività vengono meno, in qualche modo chiede di essere colmato. La maggior parte, però, cerca di riempirlo con qualcosa che delude, che non soddisfa pienamente. “Ciascun confusamente un bene apprende / nel qual si quieti l’animo e disira;/ per che di giugner lui ciascun contende”, afferma Dante, nel XVII canto del Purgatorio, esprimendo esattamente l’attesa, che tante volte resta segreta, da parte di tanti nostri giovani, che quasi hanno vergogna di dichiarare, ma che avvertono potentemente, soprattutto quando sono in vacanza.
Etimologicamente il termine vacanza deriva dal latino vacantia, neutro plurale sostantivato di vacans, participio presente del verbo vacare, che vuol dire essere vuoto. Soprattutto in estate, infatti, i ragazzi sperimentano il vuoto, la solitudine, la noia, il “desiderio di un bene assente”, come lo avrebbe definito San Tommaso d’Aquino; attendono qualcosa, sentono che gli è stato promesso un bene, come annota Pavese ne Il mestiere di vivere, il 27 novembre 1945: “Com’è grande il pensiero che veramente nulla a noi è dovuto. Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?”. Probabilmente, anche per questo motivo tantissimi giovani, il 13 e 14 luglio scorsi, hanno partecipato a Milano al concerto della cantautrice Taylor Swift, che canta i loro sentimenti, soprattutto quelli che restano accesi nella notte, come delle lanterne; emozioni, pensieri e desideri che vengono espressi con urla silenziose, come quelli che esprime nelle sue canzoni.
“[…] Ah! Come colmarlo, quest’abisso della vita? Che fare? Perché il desiderio è sempre lì, più forte, più folle che mai. È come un incendio marino che avventi la sua fiamma nel più profondo del nero nulla universale!”. Il protagonista del Miguel Mañara, come si evince dalla lettura del testo di Milosz, è un uomo che ha avuto tutto dalla vita, ma nulla ha soddisfatto la sua esigenza di felicità, di bene, di bellezza di cui è fatto il cuore che, come afferma in una battuta straordinaria, è “desiderio di abbracciare le infinite possibilità”. Come i nostri giovani, alle prese con il loro vuoto esistenziale, come tutti noi, occupati nella nostra routine quotidiana, Miguel ha cercato la “miserevole gioia, l’inquieta straniera che vi dona la sua vita e non vi dice il suo nome”; è un uomo che ha scoperto di avere un desiderio che, però, ha “trascinato per le strade”, ha “desolato nei campi”, ha “ubriacato nella città […] ubriacato senza dissetare”, ha “bagnato nelle notti piene di luna” e ha “portato in giro dovunque”, come afferma anche André Gide, nei versi di Desiderio.
Ecco! Il rischio dei nostri ragazzi è che trascurino il loro desiderio di felicità, pur sentendo potentemente di averne uno, nelle notti d’estate, magari dopo una serata con gli amici in discoteca; è un desiderio che instancabilmente grida di essere soddisfatto. Leggere i sei quadri di questo testo teatrale di Milosz permette di non dimenticare che siamo alla “ricerca dell’essenza”, come scrive Cormac McCarthy ne Il passeggero, che ognuno di noi è “Dieci percento biologia e novanta percento mormorio notturno”. Non possiamo non sentire, nei momenti di pausa, di silenzio, di vuoto estivo, il prorompere di un “mormorio notturno”, di un “fastidio” che ingombra la mente, uno “spron” che “quasi mi punge”, come lo avrebbe definito Leopardi, “sì che, sedendo più che mai son lunge /da trovar pace o loco”.
Soltanto se non trascuriamo le nostre vere domande, è possibile accorgersi che esistono persone e momenti di persone all’altezza dei propri desideri. Miguel, infatti, incontra Girolama, che entra nella sua vita come se “un raggio dell’estate penetrasse di colpo in un luogo protetto dalle ali della notte, pieno di forme striscianti”. Da quel momento, il protagonista cambia e inizia a vedere la realtà in modo diverso: “Sì, Girolama, dite il vero; non sono come ero. Vedo meglio: e pure non ero cieco; ma era la luce, forse, che mancava, perché la luce esterna è cosa da poco; non è essa che ci illumina la vita”. È una vera e propria rinascita, tanto che il protagonista arriverà ad affermare “Che non esista rimedio a questa tristezza del cuore!”.
Anche i nostri ragazzi hanno bisogno di questo tipo di riscossa, devono poter credere che esiste qualcosa per cui valga la pena vivere, a partire da quelle domande che si fanno sentire, soprattutto in alcuni momenti della vita, perché come afferma Alessandro Baricco in Questa storia, “[…] la gente vive per anni e anni, ma in realtà è solo in una piccola parte di quegli anni che vive davvero […] e cioè negli anni in cui riesce a fare ciò per cui è nata. Allora, lì, è felice”. Il vuoto c’è perché possiamo riempirlo di quella felicità per cui siamo nati, perché possiamo imparare a conoscere cosa siamo veramente e cosa vogliamo davvero; infatti, Pavese amava affermare: “La vita non è ricerca di esperienze, ma di sé stessi. Scoperto il proprio strato fondamentale ci si accorge che esso combacia col proprio destino e si trova la pace”.
I nostri giovani hanno bisogno, anche attraverso la lettura illuminante di un libro, di riaccorgersi che la realtà non tradisce, che possono credere in loro stessi, che possono legarsi e affezionarsi stabilmente a qualcuno. Il criterio della vita non è quello sperimentato da Miguel all’inizio del dramma, che si abbandona ad ogni attrattiva, censurando le sue domande, ma è quello dell’ascolto delle proprie domande di significato e del riconoscimento dell’avvenimento di un incontro che trasforma radicalmente la vita, perché, come afferma anche Taylor Swift in This love, “When you’re young, you just run, but you come back to what you need” (Quando sei giovane, corri e basta, ma poi torni indietro a quello di cui hai bisogno).
Il vuoto serve per comprendere che da soli non bastiamo e che abbiamo bisogno di un luogo e di persone all’altezza dei nostri desideri.
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