L’episodio, secondo la tradizione, è avvenuto a Rimini. La città era in mano a vari gruppi di eretici e nessuno era disposto ad ascoltare la predicazione di quel frate francescano arrivato come missionario. Antonio, allora, prende un’iniziativa bizzarra, rivolgendo agli uomini queste parole: “Dal momento che voi dimostrate di essere indegni della parola di Dio, ecco, mi rivolgo ai pesci, per confondere più apertamente la vostra incredulità”. I pesci arrivarono in massa sulla superficie del mare per ascoltare Antonio di Padova. Molti pittori, nella storia, hanno fotografato questo aneddoto della vita del santo, tra questi anche lo svizzero Arnold Böcklin (1827-1901). L’opera di questo autore colpì un altro artista, Lucio Dalla, che – dopo averla vista a Zurigo al museo Kunsthaus – partì ispirato per le isole Tremiti e scrisse la canzone Com’è profondo il mare; era il 1977.
I tramonti di Calabria di questa settimana mi hanno provocato a cercare parole per dire ciò che gli occhi vedono, e che nessuna fotografia riesce a fissare. Mi sono così imbattuto in questa canzone di Dalla, la prima di cui ha scritto anche il testo. A un certo punto dice così: “Intanto un mistico, forse un’aviatore inventò la commozione che rimise d’accordo tutti, i belli con i brutti, con qualche danno per i brutti che si videro consegnare un pezzo di specchio così da potersi guardare. Com’è profondo il mare. Com’è profondo il mare”.
Non si riesce ad abituarsi a certi spettacoli, come quello che il sole realizza ogni sera come se volesse avere addosso gli occhi di tutti. Sono istanti in cui ci si ferma, si guarda in silenzio, sulla strada la gente ferma l’auto e osserva, diversi scattano una fotografia cercando di trattenere quei momenti, quei colori, quei riflessi, ma è uno spettacolo pensato per essere visto dal vivo, senza filtri. E mi sono chiesto: cos’ha da dirci tutta questa bellezza? Nel tempo degli uomini, fatto di tutto ciò di cui è fatto, cosa vuole ricordarci questa “incursione” silenziosa della bellezza se non che siamo fatti per la commozione, come scrive Lucio Dalla?
Una commozione che realmente “rimette d’accordo tutti”, che tocca quelle corde del cuore che vibrano in tutti, che lascia senza parole – finalmente – chiunque abbia custodito la semplicità della contemplazione.
E, così, non puoi non pensare che tutto è fatto perché tu te ne accorga. Come scrive san Basilio: “La terra produce frutti, però non può goderseli e li produce a tuo beneficio”. I sassi non si stupiscono della bellezza delle montagne, gli scogli non sussultano davanti al tramonto, le piante non gioiscono per i colori del cielo. Solo l’uomo può commuoversi, e senza bisogno di lezioni sul come fare. Commozione non solo davanti a ciò che vede, ma soprattutto davanti a se stesso. Già, perché questa è la vera commozione, quella che proviamo contemplando il mistero che siamo. Fragili, provvisori, deboli, eppure posti al centro di tutta la realtà, pronti a rimanere a bocca aperta persino davanti a ciò che dice di una fine, come un tramonto, che solo al cuore dell’uomo svela la sua vera identità: l’attesa di un nuovo inizio.
Tutto ciò che è bello spalanca al vero. Abbiamo bisogno che riaccada il miracolo del bello per non perire nella dimenticanza, e per non avere bisogno di uno che ci debba sempre introdurre a tutto.
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