Nessuno di noi in queste ore pensa al costo del riscaldamento della propria abitazione per il prossimo inverno. Occupati come siamo a sopravvivere al caldo africano, sarebbe infatti decisamente inusuale arrovellarsi su un tema simile.
Proprio sicuri? Date un’occhiata a questi due grafici), i quali ci mostrano la reazione del prezzo del gas europeo e quella dello spread fra quest’ultimo e quello statunitense alla notizia della controffensiva ucraina nella zona di Kurks.
E sapete perché? Perché proprio da quelle parti si trova la stazione di misurazione del gas di Sudzha. E basta dare un’occhiata questa cartina per capire quale sia il livello di strategicità di questa infrastruttura, attualmente sotto controllo dei militari di Kiev. Non a caso, sia il Governatorato della zona che il Cremlino hanno decreto lo stato di allerta. Perché il gas russo verso l’Europa passa da qui.
Detto fatto, il prezzo del Dutch è salito al massimo dal dicembre 2023. E sapete qual è il problema più serio? Che se anche i media si degnassero di spiegare queste cose, invece di limitarsi a cronache trionfali da Istituto Luce della controffensiva ucraina, il passo successivo sarebbe quello di dire tutta la verità in materia energetica. Al netto del 17mo pacchetto di sanzioni licenziato a tempo di record senza nemmeno avere una Commissione in carica, Paesi come l’Austria importano ancora il 70% del loro gas dalla Russia. Guarda le combinazioni, mentre a Washington si prepara l’assalto della peggior nomenklatura dem-mondialista al potere federale, ecco che gli ucraini puntano dritti su un’infrastruttura energetica di fondamentale importanza. E proprio nello stesso giorno, quell’Austria che ancora si ostina a comprare da Gazprom su controvalori che ridicolizzano la strategia sanzionatoria, piomba nel panico per le minacce del redivivo Isis. Contro il concerto di Taylor Swiftz, ovvero la garanzia di eco mondiale, al netto della veridicità. Non male come messaggio in codice. Ma ovviamente, trattasi solamente di coincidenze. Altrimenti siete complottisti. Meglio beoti.
E mentre in Italia siamo così furbi da ingaggiare una battaglia a colpi di cromosomi con la stessa Algeria che, a detta del Governo, ci garantirà l’indipendenza energetica da Mosca, ecco che negli Stati Uniti la grande macchina del Risiko globale entra in modalità on. Ma si sa, quando si vive in un Paese di servi consapevoli, si applaude a ogni mossa del Re. Acriticamente. Persino quando ti umiliano pubblicamente come per la nomina del Comando Sud della Nato. Non capire quale sia il rischio, però, potrebbe avere conseguenze serie. Almeno quanto certi duelli da Top Gun sul Baltico tra nostri caccia e Mig russi, avvenuti non più tardi dell’altro giorno.
Il rischio che ora la situazione sfugga di mano è salito esponenzialmente. Perché tutti gli occhi del mondo sono indirizzati verso l’attesa ritorsione iraniana contro Israele. E la visita del ministro della Difesa russo a Teheran dimostra come persino lo stesso Cremlino avesse spostato l’attenzione verso il Medio Oriente. D’ora in avanti, prepariamoci a uno stop-and-go continuo. Quasi un panopticon di emergenze. Senza bussola. Né punti di riferimento. Ma quando di mezzo ci sono missili e droni, il problema è che il margine di errore di questa strategia rasenta lo zero
Cosa attendersi, da qui alle presidenziali Usa? Di tutto. Quantomeno potenzialmente. I fronti aperti sono almeno quattro. Gaza, Libano, Ucraina e Mar Rosso. Difficilmente gli Usa tenteranno nuove sortite in stile Venezuela in America Latina, non foss’altro perché l’arrivo della Marina russa nelle acque di quel Paese dimostra come ormai la contrapposizione fra blocco Nato e blocco Brics sia in modalità di allerta perenne.
E sui mercati? Attenzione alla Gran Bretagna e alle sue banche. Non a caso, di colpo il Paese sembra divenuto il Mississippi di fine anni Sessanta. Da Londra e dintorni arrivano solo notizie di scontri razziali e confessionali. Forse è meglio. Perché l’alternativa sarebbe scoprire come le banche di quel Paese ieri abbiano preso a prestito 27,5 miliardi di sterline dal Str (Short term repo) della Bank of England. Il tutto mentre il vero termometro del rischio di liquidità bancaria globale, il Treasury a un mese, overnight è letteralmente volato a 5,42% di rendimento. Salvo tornare a 5,34% prima del suono della campanella di Wall Street.
Il mondo sta quotidianamente camminando su un campo minato. Geopolitico. Finanziario. Diplomatico. Solamente l’Europa sembra non capirlo. Istituzioni ancora in modalità anatra zoppa. E mute. Mentre i Governi nazionali giustamente si occupano del loro orticello, stante un autunno che porterà con sé il redde rationem della nuova Stabilità. L’ho detto e lo ripeto: ad oggi, la candidata al ruolo di agnello sacrificale protagonista è l’Europa. E paradosso kafkiano, quasi a livello di karma per la Brexit, potrebbe essere proprio la Gran Bretagna il detonatore della crisi continentale. Non a caso, sta vivendo la sua guerra civile. E quale miglior palcoscenico del caos, debitamente fomentato da tweet di Elon Musk, per lavorare dietro le quinte?
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