Su queste pagine tempo fa già si è tentato di abbozzare un possibile profilo del dirigente scolastico, cercando di valorizzare, tra le tante competenze di questa professione, la leadership educativa.
Il dirigente leader educativo si interroga non solo sul successo formativo dei suoi studenti, mettendo in atto ogni azione utile al miglioramento degli apprendimenti, ma cerca anche di creare le condizioni perché la comunità degli adulti si configuri come un gruppo che vuole imparare, che non si considera arrivato, ma che intende crescere professionalmente e umanamente.
Prima di essere docenti e dirigenti si è infatti uomini e donne, che non possono ignorare una domanda su di sé. Non si può essere educatori, nel senso etimologico di “tirare fuori”, se non si è disposti a conoscere che cosa alberga nel cuore di ogni essere umano. Non è un’affermazione buonista o sentimentale, si tratta semplicemente di comprendere la dinamica del processo educativo.
Per questa ragione il dirigente scolastico è un uomo, una donna delle continue sfide, che non può acquietarsi nell’applicazione di procedure, ha bisogno al contrario di una vision chiara da perseguire e da condividere con tutti gli attori della scuola.
Il suo profilo, si potrebbe dire, è quello di una persona non risolta, contrassegnata da quella sana inquietudine che non lascia tranquilli e che chiede di andare sempre oltre, di non rifuggire dal conflitto che nasce dal riconoscimento delle differenze, rifuggendo dalla pretesa di omologare e definire ogni dettaglio.
Si tratta di un identikit umano da difendere con forza in un momento in cui al dirigente sono richiesti sempre più compiti amministrativi, che rischiano di non lasciare tempo per altro.
Al profilo del dirigente non possono dunque essere estranee specifiche competenze culturali, indispensabili per delineare un’idea di scuola e di concezione del sapere, soprattutto in un momento storico in cui il repentino aggiornamento della tecnologia pone domande sfidanti alla scuola e alla natura del sapere.
La conoscenza non è un processo di modellizzazione, come la tecnologia potrebbe far credere, ma un’operazione complessa che ha che fare con la realtà e quindi con la necessità di fare esperienza.
Il dirigente, pertanto, insieme ai suoi collaboratori e all’intera comunità scolastica, non può lasciare nulla di intentato nella promozione di contatti con l’esterno e nella formazione dei docenti per consolidare la riflessione sulla centralità di un apprendimento esperienziale e dal quale non sia mai tralasciata la ricerca del senso.
Il progressivo affermarsi dell’intelligenza artificiale, anche tra le mura scolastiche, non deve spaventare o far invocare irrealistici richiami di ritorno al passato, quanto interrogare il modo di proporre il sapere; da intendersi non come accumulo acritico di informazioni, destinate ad essere obsolete in breve tempo, ma come promozione di una conoscenza critica e di un’intelligenza che sappia porre le giuste domande.
Lo ricorda Miguel Benasayag nel suo libro Funzionare o esistere? (Vita e pensiero, 2019): “Si passa da un mondo nel quale si tentava di decriptare processi complessi a un mondo che può prevedere processi lineari. […] Ritorniamo ora a quella profondità che sfugge a ogni modellizzazione. Essa non si conosce che attraverso il concreto, non attraverso le parti di un aggregato […]. Sperimentare questo concreto significa esistere, ed esistere è conoscere. […] Tali conoscenze, che si pretendono oggettive e al di là dei fenomeni, sono informazioni piuttosto che conoscenze – la differenza è cruciale” (p. 46-47).
Si tratta di una consapevolezza irrinunciabile se si vuole continuare a fare scuola: rifuggire dagli stereotipi, dalle risposte formulate da altri e dall’accumulo di informazioni probabilistiche dell’intelligenza artificiale per arrivare alla conoscenza come espressione di un giudizio critico mosso dalle domande che la realtà pone.
È la sfida, espressa con una sintesi impeccabile, nel titolo del libro di Benasayag Funzionare o esistere?. Oggi sia gli adulti che i giovani potrebbero essere tentati dall’accontentarsi del perfetto funzionamento, invece della risposta alla complessità della ricerca della conoscenza. Funzionare o esistere dovrebbe essere l’alternativa che interpella ogni scelta dell’istituzione scolastica e il criterio determinante nell’individuazione della vision del dirigente.
L’opzione dell’esistere porta con sé caratteristiche fortemente identitarie per un’istituzione scolastica: centralità dello studente, possibilità di conciliare valorizzazione delle eccellenze e inclusione, personalizzazione, superamento del paradigma dell’insegnamento a favore dell’apprendimento, collegialità, interdisciplinarietà, valutazione formativa. Sono scelte che hanno a che fare con la realtà, con l’accoglienza delle sfide che il contesto pone.
Il funzionamento si traduce invece nell’omologazione, nell’applicazione di formule, nella ripetizione acritica delle conoscenze, nel rischio di identificare informazione e conoscenza, espedienti che all’apparenza possono anche facilitare, ma che mortificano intelligenza e creatività.
Il dirigente è il primo a dover scegliere tra esistere e funzionare, guidando con cura l’intera comunità educante nella direzione dell’esistere, non adeguandosi per esempio alla richiesta delle performances che la società e le famiglie avanzano, favorendo invece una didattica che valorizzi il talento di ciascuno e che coniughi, senza contrapposizioni e sbilanciamenti, competenze cognitive e non cognitive.
Continua Benasayag: “Lo sviluppo della nostra potenza di agire – di agire e comprendere – dipende dal fatto che si giunga a essere progressivamente toccati da sempre più cose, sempre più dimensioni. […]. Più la mia ‘superficie di affezione’ è larga, profonda, più sono afferrato da ciò che riguarda ‘il mondo’, da un determinato punto di vista, certo, ma ben al di là della mia piccolo storia personale” (pp. 79-80).
Questa necessità di educare alla comprensione e di allagare la “superficie di affezione del mondo”, riveste un ruolo irrinunciabile tra le priorità del dirigente, che, pur non lavorando direttamente con gli studenti, deve far circolare e condividere con i suoi insegnanti questa ipotesi di scuola e di cultura.
Il dirigente è anche uomo o donna generatore di professionalità. In questa direzione il valore del middle management è fondamentale per ogni istituzione scolastica e sul riconoscimento di queste figure anche il legislatore dovrebbe fare qualche riflessione.
Risulta centrale tra i compiti del dirigente l’esercizio di una delega che sappia far crescere l’autonomia dei propri collaboratori, senza addossare a loro responsabilità che restano in capo al suo ruolo. L’attenzione alle dinamiche della delega è uno degli aspetti fondamentali della conduzione di un’istituzione scolastica, che voglia valorizzare una leadership educativa diffusa.
In modo analogo si rende necessaria la cura della crescita professionale dei docenti che, come per il dirigente, richiederebbe una riduzione delle richieste burocratiche, per ritrovare tempo e energie da destinare all’aggiornamento delle metodologie, alla ricerca e al lavoro in team con i colleghi.
I docenti hanno necessità di lavorare insieme, di comprendere che il sapere è un evento sociale, che si genera e cresce con l’interazione di ciascuno. Si tratta di valorizzare una professione che dovrebbe essere caratterizzata dalla ricerca continua, dall’aggiornamento e della riflessione pedagogica, non da pratiche burocratiche e compilatorie.
Per la tecnica si funziona o non si funziona, non c’è alcuna soluzione intermedia, la prospettiva è lineare.
Al contrario, come ricorda ancora Benasayag: “L’‘identità personale’ è un autentico problema per l’umano. Più si crede all’‘identità di sé con se stessi’ più si eludono le situazioni. In realtà, l’identità è sempre in gioco in ogni nuova situazione. Questa rottura, questa mancanza di coerenza, questa discontinuità implicano una molteplicità che l’uomo e la donna che temono la libertà hanno paura di assumere. Detestano riconoscere che noi non siamo A=A” (p. 67)
Una comunità, che voglia educare attraverso la promozione del sapere, non può esimersi dal sostenere questo rischio della libertà che interpella il cammino di tutti, dai più piccoli agli adulti. Si tratta della stessa libertà che sfida le scelte del dirigente scolastico.
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