In Italia è potuto accadere che un boss sanguinario come Matteo Messina Denaro potesse passeggiare indisturbato per anni nelle vie di Palermo. Ma non è mai successo che Toni Negri – inquisito per gravi accuse di terrorismo, scarcerato dai radicali in modalità Ilaria Salis e fuggito per lunghi anni in Francia – tornasse a tenere una lezione all’Università di Padova e riscappasse poi senza intoppi oltre le Alpi. Il premier socialista di allora, Bettino Craxi, non l’avrebbe mai tollerato (semmai è stato Craxi a non poter poi più tornare nel suo Paese da inquisito: neppure per un intervento chirurgico urgente, nemmeno infine da morto).
Un pronipote eurosocialista di Craxi – il Premier spagnolo Pedro Sanchez – ha invece consentito che il leader catalano Carles Puigdemont rientrasse in Spagna, tenesse un breve comizio a Barcellona e tornasse in Belgio nonostante i mandati d’arresto della magistratura iberica, tuttora pendenti dopo sette anni dal fallito tentativo di golpe separatista in Catalogna. Una farsa tragica quella andata in scena giovedì: non solo per lo stato di diritto in Spagna, ma per la credibilità della democrazia nell’Ue in una fase storica molto complicata.
Ampiamente annunciato dall’interessato, il raid di Puigdemont avrebbe dovuto essere agevolmente intercettato da un imponente apparato di forze dell’ordine schierato in occasione della prima seduta del nuovo Parlamento catalano (il leader di Junts vi è stato eletto dopo aver perduto il seggio di europarlamentare che negli ultimi cinque gli ha offerto una malcerta immunità in esilio). L’ex Presidente della Catalogna autonoma ha potuto invece riapparire e scomparire senza problemi in una piazza di Barcellona, dopo aver arringato la folla.
Un capro espiatorio per l’umiliante beffa inflitta allo Stato iberico è subito stato trovato: sarebbe un ufficiale della polizia catalana, ancora leale al suo antico presidente. Ma sul banco degli imputati è ovvio sia finito il Governo Sanchez: fra l’altro dopo che a Barcellona alla guida del Parlamento autonomo è appena approdato Salvador Illa, esponente del Pse, mettendo per la prima volta in minoranza i partiti autonomisti. Ma il Premier madrileno è obbligato a fare il pesce il barile: nove mesi fa è stato il manipolo di deputati Junts alle Cortes a consentire ai socialisti un insperato “ribaltone” dopo le elezioni perse contro il Partido Popular. E quell’accordo – negoziato direttamente con Puigdemont latitante e mai esattamente rivelato nei dettagli in Parlamento – ha previsto un’amnistia di fatto per i ricercati catalani dell’ottobre 2017. I magistrati, però, si sono ribellati a un passo squisitamente politico che andava a calpestare lo stato di diritto (costituzionale), subordinando il ruolo del potere giudiziario agli interessi del Premier di turno.
Puigdemont ha d’altronde voluto ricordare a Sanchez i patti: con una spettacolarità politico-mediatica che in Italia sarebbe classificata all’interno di un preciso “stampo”. Fra Barcellona e Madrid gli è stato intanto permesso di irridere i magistrati che lo stanno perseguendo per conto dello Stato. E tutto questo sta avvenendo quando il Premier è personalmente nel mirino della magistratura, che sta indagando sulla moglie per presunti fatti corruttivi. Sanchez sta naturalmente facendo muro, rifiutandosi di rispondere agli inquirenti e contro-accusando i giudici di attacco politico-personale per l’affare Puigdemont.
C’è da stupirsi se il Premier spagnolo – che ha fatto balenare per un attimo le sue dimissioni dopo l’avviso giudiziario alla moglie – ha saltato il primo Consiglio Ue dopo l’euro-voto? La Spagna socialista si è fatta così rappresentare dalla Germania socialdemocratica di Olaf Scholz nell’imporre la conferma di Ursula von der Leyen alla Commissione di Bruxelles. Ma la faccia dell’odierna Europa unita “dem” è appunto la maschera di un golpista-separatista fuggiasco sui volti dell’eurosocialismo sconfitto all’ultimo voto.
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