“Chi è l’autore della riforma della scuola del 1923? A) Luigi Berlinguer B) Tina Anselmi C) Aldo Moro D) Giovanni Gentile”. Con questa domanda sferzante, in un editoriale di qualche mese fa, Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera, criticava il maxi-concorso del 2023, imposto dal PNNR, come se fosse stato concepito a prova di somaro: su 185.928 candidati gli ammessi agli orali sono addirittura 158.158 cioè l’85%.
Ebbene, qual è l’effetto collaterale di tale “buonismo”?
Tanto numerosi sono gli ammessi che le commissioni, composte da docenti, staranno a selezionare gli aspiranti insegnanti nella prova orale fino a Ferragosto, anzi fino all’anno prossimo. Un esempio tra tutti: con nota Prot. R.U. 33638, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia informa che per la classe di concorso A022 (italiano, storia e geografia nella scuola secondaria di primo grado) si andrà avanti ad oltranza, fino al 14 agosto. Niente ferie per i candidati più “sfortunati” che non potranno partire prima di Ferragosto, e un plauso allo spirito di servizio dei colleghi che sono impegnati nei lavori della commissione.
Addirittura per la medesima classe di concorso, che annovera molti laureati in lettere che non hanno altre opportunità professionali se non nella scuola, in Veneto si arriva con gli orali fino a febbraio 2025!
Forse che i compensi per questo immane lavoro sono così allettanti da convincere le commissioni a protrarre i lavori anche ad agosto? In base al Decreto Interministeriale n. 8 del 19 gennaio 2024, del MIM e del MUR, ci sono 1.800,00 euro lordi per ciascun componente delle commissioni esaminatrici, mentre sono aumentati del 10 per cento per i presidenti delle commissioni e ridotti della stessa percentuale per i segretari delle medesime. Insomma, il compenso non è poi così esorbitante. Ma in cosa consiste la prova orale del concorso 2023 che si protrarrà fino a Ferragosto, quando quasi tutta Italia chiuderà i battenti per andare in vacanza?
“La prova orale per i posti comuni è volta ad accertare in particolare le conoscenze e le competenze del candidato sulla disciplina della classe di concorso per la quale partecipa (…) e le competenze didattiche generali, nonché la relativa capacità di progettazione didattica efficace – anche con riferimento all’uso didattico delle tecnologie e dei dispositivi elettronici multimediali, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi previsti dagli ordinamenti didattici vigenti; a tal fine, nel corso della prova orale si svolge altresì un test didattico specifico, consistente in una lezione simulata”.
Chi è profano dei tecnicismi del mondo della scuola strabuzzerà gli occhi, quasi con incredulità, di fronte a questa encomiabile alacrità delle commissioni per portare a termine il lavoro entro la fine dell’estate. Si rompe allora un tabù: ci sono docenti che non godono di tre mesi di ferie all’anno, secondo lo stereotipo comune, e, pur essendo pubblici dipendenti, non sono i “fannulloni” contro cui si svolse anni fa la crociata del ministro Brunetta. Allora come si spiega tutto questo fervore?
C’è dunque da chiedersi con onestà intellettuale: perché fare uno scritto tanto “facile”, al limite del “ridicolo” secondo i critici più aspri, per poi “ingolfare” il lavoro delle commissioni? Forse un contentino in clima elettoralistico per le scorse europee?
Occorre però precisare che chi supererà il concorso 2023, con almeno il punteggio di 70/100 sia nella prova scritta sia nella prova orale, non avrà la patente per insegnare e, quindi, dovrà ulteriormente faticare per arrivare alla agognata meta del posto fisso. Questo aspetto è rivoluzionario, per così dire. Ci sono, infatti, persone che, senza nemmeno un giorno di supplenza, per aver messo le crocette al posto giusto nello scritto e per aver simulato una lezione di 45 minuti, sono stati ritenute idonee a insegnare, senza una specifica formazione didattico-disciplinare e senza alcun tirocinio diretto nelle aule. Grazie alle imposizioni del PNNR, c’è stata la riforma del reclutamento secondo la quale l’abilitazione viene conseguita solo dopo aver completato uno specifico percorso di formazione iniziale.
In tal modo, i vincitori del concorso che siano privi dell’abilitazione stipuleranno un contratto a tempo determinato (= supplenza annuale) durante il quale avranno l’obbligo di completare il percorso formativo al fine di raggiungere i 60 crediti complessivi, al termine del quale verrà acquisita l’abilitazione all’insegnamento. I corsi di formazione sono partiti nei vari atenei solo ora, in estate, in ritardo per varie ragioni normativo-organizzative che sarebbe lungo elencare in dettaglio. Sono previsti percorsi diversificati in base all’utente finale, che si trova in situazione diverse dopo un decennio di mutamenti normativi. Sulla tavola imbandita l’aspirante docente o il precario storico può scegliere il percorso formativo a lui più congeniale, caratterizzato da un numero di crediti diverso: 30 CFU per docenti abilitati su altro grado e/o classe di concorso, oppure specializzati in sostegno e per chi ha maturato 3 anni di servizio; percorsi formativi da 36 CFU per chi ha già conseguito i 24 previsti precedentemente dalla normativa vigente; e infine da 60 CFU, per i completi neofiti, ovvero quelli del concorso 2023.
In questa babele di numeri di CFU, la parola d’ordine è perciò fare presto, perché i vincitori del concorso dovranno frequentare il corso all’università ed essere assunti entro dicembre 2024, scadenza imposta dal PNNR che prevede un altro concorso in autunno. Se occorre, si lavorerà anche a Ferragosto, con una fetta di anguria e melone.
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