Non tutto sembra finire bene al mondo. E non ci sono solo le grandi tragedie: guerre, violenze, regimi oppressivi, epidemie devastanti, carestie, fame, enormi disuguaglianze economiche, catastrofi naturali. Anche la vita quotidiana dei miliardi di uomini comuni nasconde eventi misteriosi e tragici. Perché a fronte di tante vite normali che giungono al loro compimento, tra le gioie e i dolori, piccoli e grandi ci sono vite che sembrano non compiersi, non raggiungere il loro scopo. Papa Francesco in una sua intervista al Corriere della Sera ebbe a dire che ogni volta in cui entra in un reparto di pediatria, di fronte alla malattia e alla sofferenza dei bambini, si rivolge con una accorata domanda al Signore e gli chiede: “Perché?”.
E ancora più drammatico e tragico è il mistero di chi non riesce a reggere la fatica di vivere. È un mistero così profondo che anche la Chiesa, negli ultimi decenni, cambiando una consuetudine di secoli, consente un funerale cristiano a tutti i defunti, a prescindere da come sono morti. Come a dire che il cuore dell’uomo vada accettato, insondabile così com’è, profondamente ferito, così com’è, con un desiderio di felicità che sembra impossibile da raggiungere. E, così com’è, colmo di forze che possono annullare la sua libertà.
Come non fare riecheggiare il grido di Cristo quando, nell’orto degli ulivi, supplicò il Padre: “se puoi allontana da me questo calice”?
Eppure, nemmeno da questo episodio del Vangelo può venire completa consolazione. Durante la messa di commemorazione per una persona amica morta in un momento di disperazione, don Giussani disse che anche un solo atto buono compiuto salva la vita perché Dio è misericordia e non può essere contraddittorio con se stesso. L’atto più buono è il desiderio di bene, di qualcosa che soddisfi la nostra anima grande e inquieta, più grande della nostra capacità di portare la vita, come ebbe a dire Julián Carrón, in occasione di un grave lutto.
In questi momenti si capovolge il modo con cui interpretiamo di solito la vita. Non la classica bilancia in cui prevale il peso degli errori, ma un istante di positività che dà senso anche alle vite più provate.
È quello che intuì un mio grande amico, don Antonio Anastasio, morto prematuramente di Covid, nel fiore degli anni che stava spendendo facendo una compagnia profonda, umana e cristiana a tante persone e a tanti giovani. In una delle sue bellissime canzoni, divenute popolari solo dopo la sua morte, dice: “La festa sta per cominciare, corri e non fermarti amico mio. È la festa della fine del male sulla riva del mare di Dio… Non discorriamo ma ci aiutiamo ad andare. Basta uno sguardo e ci aiutiamo ad andare… E passo dopo passo verso il mare mi sorprendo a non sapere più sbagliare. Sento profumo di brace dalla riva. Vedo gli amici coi quali si scherzava. E la tua voce che mi chiama chiara non la sentivo come la sento ora”.
Ma si può fare un’esperienza in cui questa festa cominci prima dell’ultimo istante della vita, senza dimenticare il male e il dolore, senza ripetere utopisticamente e disperatamente “Andrà tutto bene”, senza voler semplicemente drogare l’anima come Lorenzo de Medici: “Chi vuol esser lieto sia, del doman non c’è certezza?”.
Il Meeting di Rimini 2024 che si aprirà fra qualche giorno avrà come titolo: “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale allora cosa cerchiamo?”. Tra i mille incontri il centro di tutto sarà proprio la scoperta che la vita di tutti ha avuto e ha un valore, perché, come dice Saint-Exupéry, “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Per educare ci vuole un villaggio, dice papa Francesco. Per continuare a costruire e ricominciare a sperare ci vuole un popolo che creda nel Bene e perciò non dimentica nessuno e sa che la vita di tutti è utile e positiva, al di là delle apparenze. Un piccolo grande segno non solo per chi vi partecipa ma per tutti in un momento così martoriato. La festa è già cominciata anche per te…
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