La linea sulla giustizia del governo Meloni non appare per nulla chiara e sembra basata più su un’approssimazione emergenziale che su una vera strategia.
Non sono stato mai personalmente contrario né alla modifica dell’approccio contro i reati dei cosiddetti colletti bianchi, né ho mai vissuto drammaticamente la separazione delle carriere dei magistrati. Ma entrambe le riforme vanno inserite in un sistema complessivo di pesi e contrappesi, altrimenti si rischia di compromettere l’equilibrio di un sistema già molto fragile.
Se si abolisce l’abuso d’ufficio si devono prevedere strumenti di controllo alternativi (disciplinari, amministrativi o contabili) per contrastare gli abusi di potere destinati inevitabilmente ad aumentare a danno dei cittadini.
Allo stesso modo, auspico ormai da anni un intervento significativo sulle pene e sulla questione carceraria. Ma anche qui, senza una linea strategica chiara si rischia di replicare modelli fallimentari del passato poco incisivi e già sperimentati.
Meglio poi stendere un velo pietoso sulla vicenda dell’antimafia. Scelte imbarazzanti ed impopolari stanno portando la lotta alle mafie indietro di 30 anni, con ripercussioni drammatiche per l’economia sana e per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
I ruoli fondamentali vengono ancora affidati con un metodo di cooptazione fiduciaria senza alcuna valutazione preliminare di competenza ed affidabilità tecnica. Al momento, dopo quasi due anni di governo, nessuno dei pur pochi esperti antimafia è stato non solo investito, ma neanche interpellato su questioni fondamentali nella battaglia che fu di Falcone e Borsellino.
Forse ci sarebbe bisogno di ripristinare l’Alto commissario per la lotta alle mafie e di impiegare qualche magistrato esperto. Lo dimostrano i commenti duri, ma molto realistici, del procuratore di Napoli Nicola Gratteri, riportati recentemente da un noto quotidiano nazionale, con cui non si può che essere assolutamente d’accordo.
La combinazione di questi tre fattori (abolizione tout court dell’abuso d’ufficio e modifica della disciplina delle intercettazioni; indultino mascherato; imbarazzante approssimazione sulla lotta alle mafie) ha innescato una pericolosissima bomba ad orologeria, che deflagrerà molto presto se non si cambia rotta.
Serve subito una strategia da affidare a mani sapienti.
Ad esempio, un indulto mascherato (riduzione di pena o arresti domiciliari anticipati) serve solo nel breve periodo, ma non è misura di carattere strutturale. È assai più utile, invece, una rivisitazione di tutto il sistema della pena (e soprattutto del momento cautelare) con diversificazione delle misure applicabili in base ai reati commessi e valorizzazione del profilo risarcitorio del danno. Si continua testardamente a pensare all’entità della pena irrogata o da scontare, mentre bisogna approcciare al tipo di reato ed al conseguente tipo di pena più idoneo.
Il bel Paese è stato la culla del diritto, ma non possiamo più crogiolarci sugli allori. È arrivato il momento di guardare oltre e confrontarsi con sistemi che sono molto più efficaci del nostro. Su questo tema fondamentale basterebbe una commissione tecnicamente attrezzata di massimo cinque esperti e sarebbe fatta!
Il tema dell’abolizione dell’abuso d’ufficio è molto più complesso ed involge la necessità di individuare subito degli strumenti alternativi di contrasto alla corruttela (si badi, non corruzione) della pubblica amministrazione. L’ormai vecchio reato non funzionava e si era trasformato più spesso in uno strumento di pressione politica insopportabile, nelle mani di gruppi di potere più o meno noti, spesso con la compiacenza o l’indifferenza di alcuni magistrati.
I numeri erano inclementi e si doveva intervenire, ma non solo con una abolizione secca, per nulla compensata dal ripristino del vecchio peculato per distrazione. Perché l’inefficacia della vecchia formula sanzionatoria non significa che non esista – come ci suggerisce l’Unione Europea – un’area di disvalore, altrettanto insopportabile, che bisogna contrastare. Se lo strumento penale non ha funzionato, evidentemente bisogna guardare altrove. Efficaci percorsi di accertamento della responsabilità disciplinare? O pesanti sanzioni di carattere amministrativo e forme di responsabilità contabile? O poteri più incisivi all’Autorità anticorruzione, ormai anche quella gestita burocraticamente e diventata (dopo la gestione Cantone) un inutile orpello? Sicuramente qualcuna o tutte le strade suggerite, ma certo non assolutamente niente, come il governo ha immaginato fino ad ora di fare.
L’ultima nota dolentissima è la questione antimafia, a me, che ho combattuto per una vita nel solco dell’insegnamento di Giovanni Falcone, molto cara.
È incredibile come non esista un referente credibile, affidabile e dall’esperienza acclarata su un tema così importante e delicato. L’impressione (e non solo quella) è che si vada a tentoni.
L’ultima dimostrazione è la nomina dell’ennesimo prefetto a fine carriera alla guida dell’Agenzia per i beni confiscati alle mafie, organismo strategico per il recupero dei proventi mafiosi, che dopo quasi 15 anni di operatività non è ancora in grado di funzionare degnamente.
Con tutto il rispetto per la nuova direttrice, a cui ovviamente auguro buon lavoro, credo che il metodo sia sbagliato, come lo è stato quello dei governi di sinistra, con la scelta di funzionari poco se non per nulla esperti di cose mafiose e senza una prospettiva di permanenza duratura, necessaria per la giusta programmazione.
Forse non si è ben compresa la gravità della situazione, con le mafie che si stanno leccando i baffi davanti alla succulenta torta del PNRR e nessuno che immagini strumenti efficaci di monitoraggio, al di là degli stucchevoli e sostanzialmente inutili protocolli di intesa e delle formalità burocratiche facilmente aggirabili da parte di strutture criminali rodate ed esperte.
Le mafie si affidano ai professionisti e lo Stato no. Quando si dice che si fa tutto il contrario di quello che sarebbe logicamente auspicabile e nell’interesse dei cittadini e del Paese… L’impressione finale che ne ricavo è che, al netto dei proclami e delle attività di facciata, oggi davvero non importi più a nessuno contrastare le mafie.
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