CASSAZIONE RESPINGE IL RICORSO DI LILIANE MUREKATETE
Liliane Murekatete ha sottratto oltre un milione di euro e aveva tutt’altro che un ruolo di secondo piano nello scandalo che riguarda la cooperativa Karibu. Sono alcuni dei particolari che emergono dalla sentenza della Cassazione, che ha respinto il ricorso che la moglie del deputato Aboubakar Soumahoro aveva presentato contro i giudici del tribunale del Riesame, che confermavano l’ordinanza di misure cautelari, cioè l’obbligo di firma.
Le «condotte distrattive» della donna sono una verità per i magistrati che, come riportato dal Corriere della Sera, sottolineano che si sono verificate anche se era sottoposta a una misura interdittiva in relazione a un altro procedimento. La moglie di Soumahoro era anche accusata di frode in pubbliche forniture.
La tesi del suo difensore, nel tentativo di ridimensionare il ruolo della donna, è che fosse solo un’esecutrice, quindi non ricopriva cariche sociali, a parte quella di una società che però era inattiva da 20 anni e con un oggetto sociale differente, riguardante infatti l’organizzazione di matrimoni. Ma per la Cassazione le cose non stanno così.
IL RUOLO (NON SECONDARIO) DELLA MOGLIE DI SOUMAHORO
I togati, infatti, ritengono non fondata la rimostranza riguardante la non relazione tra il rischio e il ruolo ricoperto in quella società. Per la Cassazione, Liliane Murekatete non aveva dunque un ruolo di secondo piano.
Infatti, scrivono che le ordinanze contro cui ha fatto ricorso rappresentano un ruolo differente da quello di una segretaria, quindi l’indagata ha in realtà svolto ruoli di gestione: lo evidenziano anche alcune mail, oltre a dichiarazioni di persone informate dei fatti; ci sono anche attività di relazioni pubbliche con membri delle istituzioni, sostituiva la madre e si accreditava come legale rappresentante della società, di cui peraltro era beneficiaria in maniera frequente di risorse, nel complesso oltre un milione di euro.
Dunque, arriva un’altra batosta in tribunale per la moglie di Soumahoro, attualmente imputata con mamma e fratelli, accusati a vario titolo di frode in pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta patrimoniale e autoriciclaggio in relazione alla gestione di un centro di accoglienza straordinaria per richiedenti asilo e rifugiato, gestito dalla cooperativa Karibu.