Si avvicina la messa a punto della legge di bilancio e nella maggioranza si elaborano le strategie. Ripensare qualche spesa è doveroso, ci dice Marco Osnato (FdI), presidente della Commissione Finanze della Camera, ma senza rinunciare ai provvedimenti che aiutano famiglie e imprese. La foresta di bonus, fiscalizzazioni e incentivi è tale da garantire un certo uso delle forbici. Ma due misure sono irrinunciabili per Osnato: il taglio del cuneo fiscale, e la maxi-riduzione per chi assume. Non siamo in tempi normali, bisogna dare più potere d’acquisto alle famiglie. Arriva anche una stoccata agli imprenditori: “dovrebbero essere più pronti ad aumentare gli stipendi”.
Onorevole Osnato, per far rientrare il deficit/Pil come indicato nel Def, occorrerà inevitabilmente tagliare qualche spesa, non crede?
A mio modo di vedere, si può e si dovrebbe fare. Parliamo di una manovra mediamente da 30-35 miliardi di euro – quest’anno probabilmente intorno ai 25 –, per un bilancio dello Stato che si aggira e forse supera gli 800 mld. È un’enorme massa di denaro nella quale ripensare qualche spesa sarebbe doveroso. Dipende su quali voci si interviene: quelle della spesa sociale, le tax expenditures per esempio, non le toccherei. Poi ci sono bonus – tipo quello “famoso” sul monopattino – che appaiono come spese clientelari e che adesso non hanno più ragione di esistere!
Di quali numeri parliamo?
Se non ricordo male, c’è una foresta di 625 tipi di bonus, di fiscalizzazioni, di incentivi vari, per 125 mld l’anno. Lì si può intervenire, e si può fare molto.
Qual è il criterio da adoperare?
Se incentivi, bonus, deduzioni hanno un valore sociale “assoluto”, come la deduzione delle spese mediche, o di volano per l’economia, non si toccano. Se non hanno questi due requisiti, si pensa come e dove intervenire.
Quali misure si possono mettere in campo per cercare di sostenere l’economia in questa fase in cui l’industria fa più fatica?
Il contesto è difficile, ma va detto che nonostante l’inverno demografico, che è il nostro problema numero uno perché abbiamo meno lavoratori, siamo un Paese che cresce più di altri, e dove il Sud cresce più del Nord. Siamo riusciti ad arrivare al massimo storico di occupazione giovanile e femminile, anche grazie alle due ultime leggi di bilancio. La prossima manovra dovrà aumentare ancor più le opportunità.
Fatta questa premessa?
A fronte di questo, ci sono norme che devono sostenere lo sviluppo della nazione. La prima è la conferma del taglio del cuneo fiscale, la seconda è la conferma della maxi-riduzione per chi assume, il “più assumi meno paghi”, e poi tutta una serie di opportunità a sostegno della produttività.
C’è spesso polemica sul turismo. Cosa pensa in proposito?
Grazie al turismo l’Italia è cresciuta moltissimo in questi anni. Non è vero, come dice qualcuno, che siamo cresciuti “solo” grazie al turismo. Valgano per tutti i dati di Bankitalia: il turismo è una appetibilità che abbiamo la fortuna di avere e non va sottostimata ma considerata un asset importante. Bisogna anzi investirci su. Inoltre se le nostre esportazioni sono in crescita, lo dobbiamo in generale alla vivacità e capacità di innovazione delle nostre imprese.
Torniamo alla proroga del taglio del cuneo fiscale. Brambilla (Itinerari Previdenziali) ha criticato la misura spiegando che toglie contributi all’Inps e risorse al fisco. Cosa risponde?
Brambilla, che fa sempre considerazioni interessanti, teoricamente ha ragione: le decontribuzioni non sono in assoluto la cosa migliore, perché poi vanno ripianate. Ma non siamo in tempi normali: con due guerre, lo shock inflattivo, il caro energia, il superbonus, ora occorre dare più potere d’acquisto alle famiglie. E poi seguirei i suggerimenti del governatore Panetta.
A che proposito?
In un momento in cui l’economia italiana è piuttosto florida, gli imprenditori italiani – che fanno profitti legittimi – dovrebbero essere più pronti ad aumentare gli stipendi. Non c’è neppure l’alibi della correlazione tra aumento degli stipendi e aumento dell’inflazione, visto che ora l’inflazione è tornata bassa. Insomma, lo sforzo bisogna farlo.
Panetta al Meeting di Rimini ha ricordato l’importanza di ridurre il debito pubblico, visto anche il peso degli interessi da pagare sul medesimo. Come fare?
Il contenimento della spesa pubblica improduttiva, unito a una maggior produttività, può aiutare a diminuire il numeratore del rapporto deficit/Pil.
Quali saranno i prossimi passi della riforma fiscale? Si riuscirà ad alleggerire il peso fiscale sul ceto medio?
Dopo un anno abbiamo varato 11 decreti attuativi, probabilmente nella prima metà di settembre licenzieremo anche quello che riguarda i testi unici. Abbiamo fatto e semplificato molto, dalla minimum tax al concordato biennale preventivo, le tre aliquote, la disciplina dell’adempimento collaborativo. I dati dicono che sono ulteriormente aumentate le entrate tributarie senza aumento della pressione fiscale. Dunque la riforma funziona. Cercheremo di concentrarci ulteriormente sul ceto medio per capire come trovare ulteriori risorse nella compatibilità dei vincoli di bilancio.
Cosa può dirci del no di FdI a Strasburgo al secondo mandato di von der Leyen?
Sono stupito dello stupore. Abbiamo detto no come partito, non come governo, a von der Leyen perché siamo alternativi alla sinistra e ai 5 Stelle, alla logica del Green Deal esasperato e dell’immigrazione tout court. Non potevamo fare una maggioranza in Europa insieme a socialisti e popolari, che su questi temi non la pensano proprio come noi.
Con i verdi, von der Leyen ha stretto un patto di ferro.
Proprio l’ostinazione ambientalista dei verdi è causa sia della crisi dell’economia tedesca, sia dell’aumento di voti, in Germania, di partiti non proprio democratici. Francamente non potevamo stare da quella parte. C’è poi un’idea tipica della sinistra italiana che si trattava di respingere.
Quale?
Quella che in Europa bisogna stare per forza dentro la maggioranza. Ovvero trovare il modo di sedersi al tavolo anche da perdenti. Non è vero. Il vero europeista riconosce il ruolo dell’Europa anche dall’opposizione, e dall’opposizione propone la sua alternativa.
La riforma del premierato è stata accusata dall’opposizione, tra le altre cose, di essere una riforma del sistema di governo ad personam. C’è la sensazione che la riforma sia in stand-by. È così?
No. Abbiamo riflettuto a fondo e crediamo che la domenica sera delle elezioni gli elettori debbano sapere chi salirà al Quirinale per diventare presidente del Consiglio. Abbiamo vissuto una legislatura, quella 2018-2022, in cui c’è stata l’emergenza pandemica, è vero, ma di democratico abbiamo visto ben poco.
Cosa pensa dell’autonomia differenziata?
È una riforma del decentramento politico e amministrativo di cui si parla da trent’anni senza che nessuno sia riuscito a fare praticamente nulla. Va fatta e credo che sia una cosa positiva.
Non vi fa paura il referendum?
No, non mi fanno mai paura gli elettori quando votano. Certo, poi bisogna spiegare bene le cose ed evitare strumentalizzazioni.
Che cosa intende, a chi lo dice?
Sono stato recentemente in un piccolo paese della Basilicata, quello originario di mio padre. Soffre di spopolamento e carenza di servizi, negli anni vi si è fatto un utilizzo non “propriamente virtuoso”, diciamo così, del denaro pubblico. Hanno addirittura fatto un consiglio comunale straordinario per approvare un documento contro l’autonomia differenziata, e il sindaco, vedo dai social, va in tutti i comuni della Basilicata a spiegare quanto male fa l’autonomia, che ancora però non è entrata in vigore. Ben venga invece una riforma che responsabilizzi la classe politica.
Landini è contrario.
Invece di chiudere qualche contratto in più, adesso Landini fa il paladino dell’unità della patria. Eppure mi ricordo benissimo, e forse non sono l’unico, di quando faceva l’internazionalista mondialista. Preferisco la Cisl, che fa una proposta di partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese.
Lei oggi al Meeting parlerà su “Il primo capitale dell’impresa è la persona”. Può anticiparci un concetto chiave?
Sono molto contento di partecipare a un panel di questo tipo perché ho avuto un passato da direttore del personale di un’azienda e so quanto sia difficile in questo momento essere competitivi. Io penso che i lavoratori siano sempre una risorsa, più che un “capitale”, termine un po’ troppo neutro, anzi, mercantilista direi. Aumento dei salari e previdenza complementare non possono non andare di pari passo con un investimento vero sulla formazione, sulle soft skills di chi studia e di chi lavora. È il vero pilastro della produttività di cui il Paese ha bisogno.
(Federico Ferraù)
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