Nuovo colpo di scena nelle elezioni USA: il “terzo incomodo” Robert F. Kennedy si è ritirato dalla campagna e appoggerà Trump, annunciandolo il giorno dopo la chiusura della Convention democratica di Chicago, per conquistare la prima pagina con una decisione che era nell’aria da alcuni giorni.
Subito etichettato come “pecora nera” dal clan Kennedy, dovrebbe portare in dote a Trump un paio di punti percentuali di voti, comunque utili negli Stati in bilico.
Valutato con un target potenziale addirittura del 12-15% in primavera (ma in evidente discesa, anche perché a corto di finanziamenti) le sue possibilità di vittoria finale erano nulle, ma l’annuncio ha comunque sorpreso soprattutto in Italia dove i Kennedy sono da sempre una icona democratica.
Tutto vero (una delegazione di famiglia era presente anche a Chicago a sostenere la Harris), ma il caso di Robert F. Kennedy jr. è comunque anomalo ed interessante.
Premesso che la F. sta per Frank e non per Fitzgerald, all’inizio si si era proposto come candidato democratico, ma poi – ottenendo pochi potenziali suffragi interni e “stretto” da Biden – aveva scelto già a ottobre 2023 la qualifica di indipendente, viste le sue idee molto trasversali.
Robert F. Kennedy jr è nato a Washington nel 1954, terzo degli undici figli di Robert Kennedy e quindi nipote del mitico presidente John Fitzgerald Kennedy. Cresciuto nel Massachusetts, aveva nove anni quando suo zio fu assassinato nel 1963, 14 quando anche suo padre fu ucciso mentre era in corsa per la presidenza nel 1968.
Dopo la morte del padre, Kennedy lottò con l’abuso di droghe, che lo portarono all’arresto per possesso di cannabis all’età di 16 anni e alla sua espulsione da due collegi prima di laurearsi in giurisprudenza. Nel 2008 ha finanziato la campagna elettorale di Clinton, ma nel tempo è stato duramente criticato per aver sostenuto la correlazione tra vaccini ed autismo, diventando uno dei più noti leader negazionisti del Covid-19.
Si è sposato tre volte, si professa cattolico romano e considera san Francesco d’Assisi il suo santo patrono e un modello di vita, tanto che su di lui ha pubblicato un libro.
Il suo programma, come la sua personalità, è complesso. Ha spesso dichiarato che il governo americano è dominato dal potere di grandi corporazioni. Profondamente ecologista (il piccolo partito ecologista d’America lo appoggiava ufficialmente in questa campagna, vedremo come reagirà alla scelta di campo) ha affermato che l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente è stata gestita “dall’industria petrolifera, dall’industria del carbone e dall’industria dei pesticidi” e la Food and Drug Administration “dominata da Big Pharma”.
Sostenitore della classe media, avversario dichiarato dell’industria militare e dell’intervento militare all’estero, Kennedy fu molto critico sulla guerra in Iraq così come lo è ora per il coinvolgimento USA in Ucraina, definendo il conflitto “una guerra degli Stati Uniti contro la Russia” e sostenendo che l’obiettivo era “sacrificare il fiore della gioventù ucraina e russa in un mattatoio di morte e distruzione per l’ambizione geopolitica dei grandi”. Ha chiesto più volte un accordo di pace sulla base degli accordi di Minsk e – a suo avviso – la regione del Donbass dovrebbe rimanere in Ucraina con uno status di autonomia territoriale e posta sotto il controllo dell’ONU.
Ha denunciato come la rivoluzione ucraina del 2014 fosse in realtà un tentativo di colpo di Stato sponsorizzato dagli Stati Uniti contro il governo di Kiev. Allo stesso tempo, ha chiarito che si rifiuta di collegare questa critica con qualsiasi supporto al regime di Vladimir Putin definendolo “mostro”, “delinquente”, “gangster”.
Kennedy ha promosso politiche ambientali anti-establishment e si dichiara contro l’energia nucleare e l’espansione della NATO nell’Europa orientale. In chiave interna dichiara di appoggiare una regolamentazione sul possesso delle armi, ma anche che non avrebbe “portato via le armi di nessuno”, incolpando soprattutto le droghe per le sparatorie di massa nelle scuole.
Un programma quindi molto complesso e controverso, decisamente in bilico tra i due schieramenti, tanto che ad inizio di agosto i sondaggi sostenevano che il suo elettorato sembrava composto per il 60% da potenziali elettori di Trump e solo per il 40% vicino ad Harris. Non sposterà insomma molti voti, ma per la Harris non è certo una buona notizia.
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