L’occupazione in Italia ha superato la soglia dei 24 milioni occupati di circa 9mila unità. Lo afferma ISTAT che ha diffuso i dati provvisori sul mercato del lavoro nel mese di luglio 2024.
La crescita degli occupati si accompagna a un aumento degli inattivi e a una riduzione dei disoccupati. Il tasso di disoccupazione scende al 6,5%, spinto anche da fattori stagionali: molti disoccupati sospendono la ricerca attiva del lavoro durante i mesi estivi per riprenderla in settembre e ottobre, due mesi che rappresentano per molte aree del Paese il periodo di avviamento più intenso dell’anno.
Il tasso di occupazione tra il 15 e i 64 anni sale al 62,3%, rappresentando una crescita degli occupati pressoché ininterrotta che dura dal 2021 all’uscita progressiva dalle misure della pandemia.
Nonostante gli andamenti positivi dell’occupazione nel suo complesso, rispetto a giugno si segnala un leggero calo del lavoro dipendente, sia permanente che a termine. Questi cali sono più che compensati dalla crescita del lavoro autonomo (+74mila unità), che consente di sfondare la soglia dei 24 milioni di occupati.
I rapporti fra le varie forme di lavoro tuttavia restano invariati. L’85% dei dipendenti ha un contratto a tempo indeterminato (è così da almeno 4 mesi), e la percentuale dei lavoratori autonomi è al 22% da diversi anni.
In una prospettiva storica il dato dell’occupazione è il più alto da gennaio 2004. Il dato più basso degli ultimi 20 anni è stato quello di gennaio 2014, quando gli occupati rilevati furono 21 milioni e 778mila, circa 2 milioni e 230mila occupati in meno rispetto a questo luglio. Il primo milione di occupati è stato recuperato a settembre 2017 (in poco meno di 4 anni), poi il COVID ha rispedito la curva temporaneamente verso il basso.
La ricostruzione storica forse è un poco noiosa, ma vale la pena di ricordare che l’anno di approvazione dei principali decreti che costituiscono il cosiddetto Jobs Act (8 decreti) è il 2015.
Vale anche la pena di ricordare che le materie riformate sono state molte: i sussidi di disoccupazione hanno avuto una copertura più ampia e sono cresciuti di importo, la cassa integrazione è stata riorganizzata per renderla più sostenibile, le politiche attive hanno trovato un loro spazio definitivo.
Al di là dello slogan che chiede di abrogare il Jobs Act, riferito alla questione della licenziabilità dal tempo indeterminato, sembra meno chiaro che cosa veramente si spera di ottenere dal punto di vista del funzionamento del mercato, mentre i numeri rendono chiaro cosa si è ottenuto fino ad oggi da quelle riforme.
Tornando al presente, è chiaro a tutti che il problema principale non sta nei risultati occupazionali ma nei salari e nel lavoro dei giovani. I dati della rilevazione non contengono indicazioni sui salari. Sui giovani, al netto della componente demografica, la variazione tendenziale dell’occupazione è positiva in tutte le classi di età, ma più alta per gli over 50. I disoccupati over 50 hanno avuto un calo del 14%, mentre gli inattivi over 50 sono calati del 3%. Sono invece aumentati dell’1,8% gli inattivi tra i 15 e i 34 anni, segnale negativo in un mercato che assorbe un grande numero di persone ma sembra sempre più in affanno a far entrare i più giovani in pista.
Insomma dati complessivamente positivi, ma i problemi di sempre sono ancora aperti.
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