L’inflazione scende e torna ai minimi degli ultimi tre anni, i mercati azionari sono ai massimi e scendono i rendimenti dei titoli di Stato, il mercato del lavoro è ancora in salute e in alcuni Paesi, come l’Italia, il tasso di disoccupazione è ai minimi dal 2008, l’anno della crisi “Lehman”. Con questi numeri si può archiviare una fase iniziata nella primavera 2020 con la crisi imposta dal Covid e dalle restrizioni; una crisi “risolta” con il ricorso a politiche monetarie e fiscali eccezionalmente espansive che hanno poi contribuito in modo decisivo a una fase inflattiva che non si vedeva dagli anni 80. Oggi il tasso di inflazione, sia in Europa che negli Stati Uniti, scende e apre a un percorso di taglio dei tassi che i mercati hanno già incominciato a incorporare.
Due giorni fa l’amministratore delegato di Dollar General, una catena di negozi discount americana, nel corso della conferenza a commento dei risultati ha dichiarato: “voglio offrire alcune informazioni addizionali su quello che vediamo e sentiamo dai nostri clienti. La maggioranza dichiara di stare peggio finanziariamente di sei mesi fa a causa dei rincari, di minore occupazione e dell’aumento del costo dei prestiti”. Ancora: “l’inflazione ha continuato a impattare negativamente le famiglie che, per una percentuale superiore al 60%, dichiara di dover fare sacrifici sui beni di prima necessità a causa dei costi. In aggiunta a maggiori spese per affitti, bollette e sanità”.
Molte famiglie italiane e europee, in tutto o in parte, si sentono rappresentate da questa descrizione, perché l’incremento dei salari non ha tenuto il passo dei costi e quindi le famiglie oggi sono più povere. Il tasso di inflazione scende, ma i prezzi non sono scesi e i rincari totali si sono cumulati in questa fase inflattiva durata quasi tre anni. Gli indici “sintetici” non catturano tutta la portata dell’impatto dell’inflazione soprattutto per il ceto medio e basso e in generale per chi è rimasto escluso dagli incrementi salariali.
Ieri Isabel Schnabel, membro esecutivo del consiglio BCE, avvertiva nel corso di una conferenza a Tallinn del pericolo di una fase di discesa dei tassi troppo veloce e non sufficientemente attenta all’evoluzione dei dati e in particolare dei prezzi. Si potrebbe inquadrare questo avvertimento non tanto in un’ossessione ideologica per l’inflazione, ma nella preoccupazione per quello che è accaduto negli ultimi anni e per le ferite aperte in ampie fasce della popolazione dai rincari. Nessuno sa con precisione cosa accadrà all’economia, tanto più in un quadro geopolitico così incerto, ma sottovalutare i prezzi o pensare di risolvere gli squilibri e gli shock come è stato fatto negli ultimi anni non è una soluzione di lungo periodo. Chiudere uno o due occhi sull’inflazione per “salvare l’economia” o magari la stabilità dei mercati alla fine presenta il conto; infatti l’inflazione è la tassa peggiore di tutte perché non è proporzionale al reddito.
La questione non è risolvibile con una tecnica finanziaria o economica. Pensiamo solo che a beneficiare del prossimi ciclo dei tagli dei tassi saranno maggiormente i detentori di asset finanziari. Il costo della stabilità dei mercati o dei mercati delle obbligazioni governative si scarica su tutti ma i benefici non sono proporzionali e, per esempio, escludono le famiglie senza risparmi. Ci sono, ovviamente, benefici indiretti, ma alla fine del percorso c’è il quadro descritto dall’ad di Dollar General e osservabile dai dati Eurostat sull’incremento reale dei salari, che per altro vedono l’Italia all’ultimo posto.
Sono argomenti politici le decisioni sulla stabilità dei mercati, quelle sulle politiche redistributive e sulla tutela dei detentori di titoli di Stato a prescindere, oppure quelle sulla transizione energetica, che impone più costi, o sulle scelte geopolitiche. Il punto di partenza, però, è una lettura onesta e completa di quello che è successo negli ultimi anni; non ci si può fermare ai mercati ai massimi e al tasso di inflazione al 2% e pensare che non sia successo niente.
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