Se alla fine Giorgia Meloni si è decisa a calare sul tavolo europeo la sua carta migliore, è perché ha ricevuto garanzie sufficienti per non fare brutta figura. Impensabile privarsi del suo uomo più fidato (in chiave europea almeno) senza ricevere il riconoscimento reclamato a gran voce e con insistenza da mesi. Facile immaginare che Raffaele Fitto riceverà da Ursula von der Leyen un portafoglio di rilievo e probabilmente anche quella vicepresidenza della Commissione che a Paolo Gentiloni cinque anni fa è stata negata. La premier ha trattato fino all’ultimo per settimane, fino a quando due giorni fa le ultime rassicurazioni le ha ricevute dal leader del PPE, Manfred Weber, che per il politico pugliese ha speso parole lusinghiere. Traduzione: i popolari agevoleranno la conferma di Fitto nelle audizioni all’europarlamento, disinnescando il rischio di una clamorosa bocciatura.
Ora per il governo si apre la questione del dopo-Fitto. Le dimissioni arriveranno solo dopo il gradimento delle commissioni dell’assemblea di Strasburgo, fra qualche settimana, ma è logico che nei corridoi di Palazzo Chigi non si parli d’altro, anche perché il ministro è titolare di ben quattro delicatissime deleghe: Affari europei, PNRR, Politiche di coesione e Mezzogiorno. Chi a mezza bocca commenta, concorda su un punto: un rimpasto di governo è da escludere a priori, come pure una sostituzione di Fitto. Allo stesso modo è tendenzialmente esclusa l’ipotesi dello spacchettamento delle deleghe. Anche perché, trattandosi di un ministro formalmente “senza portafoglio”, le materie rimarranno automaticamente all’interno del perimetro della Presidenza del Consiglio, dove operano almeno due fedelissimi della Meloni, i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, pronti ad occuparsene.
E per chiudere la partita dei rapporti con l’Europa potrebbe bastare anche un sottosegretario. Ci sono in questo senso i precedenti di Sandro Gozi con i governi Renzi e Gentiloni, e Vincenzo Amendola con Draghi. Per di più, di posti da sottosegretario vacanti ce ne sono due, visti gli abbandoni strada facendo di Vittorio Sgarbi ed Augusta Montaruli.
La cautela di Meloni è dovuta al timore di un effetto domino: aprire un rimpasto e non riuscire a chiuderlo, in quanto potrebbe scatenare gli appetiti degli alleati. Uno scenario che la premier intende allontanare persino nell’ipotesi peggiore, quella in cui a ottobre dovesse essere costretta ad abbandonare la titolare del Turismo, Daniela Santanchè. Trattandosi di un dicastero “con portafoglio” lì sarebbe necessaria una sostituzione, o un interim, che – nel caso di Fitto – non serve.
Meloni sa che la situazione della compagine di governo rimane costantemente sotto la lente attenta del Quirinale. Mattarella non potrebbe negare la sostituzione di un singolo ministro dimissionario (Santanchè, appunto). Ma se i cambi dovessero essere più di uno non può essere esclusa una richiesta di tornare alle Camere per farsi confermare la fiducia. Sarebbe un passaggio scivoloso, nonostante la compattezza della maggioranza confermata anche nel vertice di ieri, almeno dal punto di vista formale. Meloni si è esposta nel dire che intende restare in sella per tutta la legislatura con la stessa squadra (sarebbe un record nella storia repubblicana), e farà di tutto per riuscirvi. Il problema è sopra ogni cosa politico, dal momento che le partite aperte si moltiplicano: la polemica estiva sullo ius scholae, ma anche autonomia differenziata, premierato, riforma della giustizia. Temi delicati e divisivi, con una legge di bilancio da scrivere facendo uno slalom fra i paletti stretti del rigore di bilancio che torna in Europa e questioni aperte proprio con Bruxelles, dall’assegno unico alle concessioni balneari. Un buon avvocato nei palazzi comunitari è proprio quello che servirebbe alla Meloni ed al suo governo. La nomina di Raffaele Fitto potrebbe quindi giovare, anche se il timore è che la squadra di governo perda di compattezza, senza poter più contare su uno degli esponenti più attivi ed affidabili. La navigazione del governo, insomma, procede a vista.
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