La cosa interessante dei nostri tempi è che anche le questioni più importanti e decisive vengono ricondotte ad una complessità che a confronto i film di cowboy e indiani di vetusta memoria risulterebbero ricchi di sfumature e articolati. Prendete la guerra in Ucraina: mica vorrete discutere di storia, geografia, diritto internazionale, democrazia e affini? Macché: tutto si risolve se facciamo decidere al popolo di Twitter (o come diavolo si chiama adesso l’infernale algoritmo di tortura quotidiana) chi abbia ragione tra russi e ucraini. Tutto è, deve essere bianco o nero: i grigi sono esclusi. Troppo difficile articolare: meglio sillabare.
Così vale per qualsiasi cosa, fosse anche la questione più delicata e complessa. Tanto, e sembra che ormai sia questa la cantilena che va per la maggiore tra i gestori dei social, il popolo ha la memoria di un pesce rosso e lo sguardo intelligente di una mucca alle prese con una derivata di matematica: riduciamogli tutto al minimo e che poi se la sbrighino tra loro. Tanto finché cliccano e cuoricineggiano per noi sono soldi.
Vi ricordate, ad esempio, di quando qualche anno fa a destra e a manca, come sempre divise su tutto ma inscindibilmente unite nel non capir nulla del futuro, si gridava ai danni che i computer, la scienza, le rivoluzioni tecnologiche avrebbero fatto al “popolo”? Al confronto dei discorsi che politici ed esperti televisivi andavano propinandoci i luddisti sarebbero passati come dei rivoluzionari! Nani e ballerine, soubrettes di ampio spettro (polmonare, of course) e di breve profilo culturale andavano spiegando a casalinghe e pensionati che sarebbero spariti i lavori, che ci aspettavano catastrofi e disgrazie; che occorreva opporsi a questi demoniaci processi che, ça va sans dire mes frères, arrivavano da Bruxelles e dalle tecnocrazie europeiste.
A destra si chiedeva di stoppare chi voleva affamarci, toglierci il nostro lavoro, obbligarci perfino, pensa te la crudeltà di questa gente, ad aggiornarci e a non restare indietro! Vade retro Satana: le tradizioni si mantengono, mica si evolvono. E a sinistra per non restare indietro nella genialità si organizzavano referendum per abrogare tutto l’abrogabile. Soprattutto se l’abrogabile non era più tale perché ormai sorpassato dalla realtà, vedi Job Act. L’importante era (è?) non modificare nulla. Vedi mai che il mondo voglia cambiare!
Ecco che dopo anni di siffatti colti e articolati pensieri, ci si accorge che l’Intelligenza Artificiale, cioè l’oggi, mica il domani della tecnologia, potrebbe creare novecentomila (900.000!) posti di lavoro in pochi anni. Ora, a noi che capiamo poco e che non abbiamo profili social (il solo profilo di cui siamo orgogliosi possessori, infatti, è un naso che una volta le signorine definivano “alla francese”), non interessa per nulla né stare a discettare se saranno 900mila o solo 800mila o se questi sostituiranno/ affiancheranno/ distruggeranno più o meno o altrettanti posti di lavoro tradizionali (ammesso che questo aggettivo abbia qualche valenza e sia significativo).
No, in noi la prima reazione a scattare è stata: ma come diavolo pensano di fare se già oggi non ci sono abbastanza lavoratori? Se già oggi mancano, chessò, infermieri, operai specializzati per i torni, idraulici, camerieri o manutentori (e ho detto manutentori, mica ingegneri spaziali).
Sono anni che chiunque abbia un’anche vaga idea di come funziona il mondo chiede di discutere del futuro del mercato del lavoro, dei dipendenti che mancano, dei meccanismi di assunzione, formazione on job e long life learning: sindacati, aziende, perfino Confindustria (e non aggiungo nulla!), si stanno sgolando su ciò, consci che solo il lavoro crea lavoro, cioè benessere, cioè possibilità di ridistribuzione delle ricchezze e quindi miglioramento della qualità di vita dell’uomo.
Ma voi capite che tra pensare al domani e decidere se dare o togliere l’Assegno unico anche agli stranieri a perdere è la prima questione: meno interessante, meno coinvolgente. Che poi il mirabile problema abbia l’ampiezza della cruna dell’ago e la consistenza di un refolo di vento sono aspetti secondari: oggi dobbiamo occuparci di questo. Oppure della fondatezza dei diritti di chi si dice non binario e quindi percepisce sé stesso a seconda del piede che posa per primo al mattino. O di dove sia sparito il capo del Governo per qualche giorno (che poi mi piacerebbe discettare con voi dei danni che potrebbero venire alla vita degli italiani medi da quella e consimili sparizioni).
Veniamo a noi però: l’IA, brevis, l’Intelligenza Artificiale, creerà posti di lavoro. Ne siamo certi, sicuri: è indiscutibile. Soprattutto perché l’IA genererà anche denaro e purtroppo questa è la sola legge fisica terrestre che non verrà mai messa in crisi. Quanto meno fino al Dies Irae.
Però, c’è un però: lasciamo stare dove troveremo gli ingegneri (c’erano i siriani ma la Merkel ce li ha fregati; ci sarebbero gli indiani ma sono troppo abbronzati; per gli ucraini niente: sono occupati in una faccenduola locale. Suggerimento: proviamo col Sudamerica?), ovvero se l’IA sia dannosa per l’uomo, se arriverà a sostituire la nostra intelligenza (e noi siamo convinti di sì: soprattutto se continueremo a non usare quella naturale di cui Dio ci ha dotati), se sia pericolosa per la nostra gioventù che notoriamente oggi non beve, non fuma, non gioca, ed è invece dedita ad attività sane e profittevoli come la raccolta delle mele e la cardatura della lana al lume di candela mentre nel sottofondo della stalla echeggiano le giaculatorie (strettamente in latino come ha prescritto il nostro ministro), delle nonne. Non vogliamo neanche infierire sulla visione del futuro che ha un ministro che, solo al mondo, vieta l’uso di ChatGTP: come se questo programma stazionasse solo sui server italiani e come se la rete, e il suo popolo, non avessero imparato a bypassare ben altre censure e divieti.
No, il problema che ci poniamo è dove fisicamente troveremo le persone che domani potranno fare gli ingegneri, o i filosofi del linguaggio: non parliamo di quelli formati ma semplicemente di quelli nati. Perché, e nonostante su internet si possa far di tutto, se uno non è stato partorito mica può studiare, crescere, lavorare, generare benefici per il mondo. Senza bambini, cioè senza un popolo che sia vivo e non virtuale, non ci sarà IA che tenga. Ci sembra insomma che discutere se l’IA sia o meno il domani del mondo del lavoro equivalga più o meno a concentrarsi sulla sparizione delle mosche nel nostro quartiere mentre nel resto del mondo ci si stanno allegramente scambiando missili nucleari a go-go.
Perché ciò che nessuno sembra voler dire è che l’IA non riguarderà (solo o soprattutto) tecnocrati e ingegneri ma sarà affare che riguarderà filosofi, linguisti, ermeneuti. D’altronde l’intelligenza, come dice la parola, è il saper leggere dentro la realtà: e quella artificiale non è nient’altro che un ausilio per chiunque voglia capire meglio il mondo. Nel bene e nel male. L’IA, infatti, non è in sé un pericolo ma, come tutto ciò che è umano, è una possibilità, uno strumento: usarlo bene o male è una scelta che ognuno di noi può fare. Impedire per legge una possibilità che è (anche) buona, corrisponde a eleggere Torquemada a genio visionario. Piuttosto che vietare o ignorare ciò che non capiamo, non varrebbe insomma la pena di studiare, approfondire, scernere, valutare e intanto consentire alle famiglie di generare fanciulli che domineranno il futuro perché lo vivranno secondo criteri e culture adeguati ai tempi che verranno?
Non è che, se non pensiamo al futuro, questo si guarderà dal presentarci il conto: l’IA richiede oggi che si agisca per il domani. Le aziende sanno bene che meno personale c’è in giro più a loro toccherà pagare i dipendenti, rispettare contratti e protocolli, ma sanno altrettanto bene che senza personale anche il loro futuro è a rischio. Quindi meglio pagare che sparire! L’IA oggi è già realtà in aziende che nulla hanno a che fare con i computer: ormai la si usa perfino nel settore delle pompe idrauliche. Ma non ditelo ai nostri governanti: potrebbero vietare per legge la costruzione di tali pericoli ausili meccanici! Quindi smettiamola di discutere dell’IA e iniziamo invece ad occuparci dell’uomo che ne sarà padrone o schiavo.
E chissene importa se, poniamo, domani su Internet l’IA creerà entità sempre più belle e sempre meno vere: nessuna di queste potrà mai dire nulla sul profilo alla francese del sottoscritto con la stessa intensità, la stessa passione e soprattutto lo stesso realismo, di quelle certe fanciulle d’antan!
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