Andrea Orlando si avvia ad essere il candidato del campo largo alle prossime elezioni regionali in Liguria. Ma campo quanto largo? Ad oggi pare più una unione tra Pd e 5 Stelle con un pezzettino di moderati. Non che Renzi manchi per colpa sua. Lui vorrebbe esserci. Manca la sintesi che dovrebbe creare una coalizione tra la sinistra e moderati che voglia essere vincente. In questo periodo di grandi solchi tra gli schieramenti ognuno gioca nel suo, di campo, sperando che l’altro faccia peggio. Schema già visto nei decenni scorsi, ma che pare avere oggi dei limiti.
Il primo è che l’elettorato è fluido e poco attaccato ai “valori”. Pezzi interi di società cambiano opinione e voto a secondo della convenienza, anche se per anni sono stati fedeli. Fenomeno esasperato dai grillini, oggi 5 Stelle, e che non è più reversibile.
Il secondo è che una proposta di governo anche regionale, che non tenga conto della borghesia, rischia di perdere malamente. Il ceto medio è ancora impaurito da immigrazione, pressione fiscale e delinquenza e fa fatica ad accettare le ricette radicali di sinistra che vorrebbero aprire tutto a tutti. Senza una sorta di bollino “moderato” si rischia di essere attratti nelle posizioni storiche della sinistra massimalista senza avere più un elettorato corposo da coinvolgere.
A questi dubbi Andrea Orlando deve dare una risposta. Che può essere o di accondiscendere a Giuseppe Conte, dando quindi per scontato che la sua candidatura ha un carattere identitario escludente e massimalista, o forzare la mano e pretendere che Renzi sia della partita. Non per Renzi in sé, con cui cortesemente si odia, ma per ciò che quel misero 2 per cento renziano rappresenta, ponendosi lui – Orlando – come garante per una intera area politica nuova.
Se poi aggiungete che Orlando, garantista ed ex ministro della Giustizia, si candida dopo la cattura e l’arresto domiciliare prolungato di un non colpevole che non ha rubato (secondo i pm) ma ha violato delle norme sul finanziamento del partiti (tutto di dimostrare), comprendete che la sua candidatura dovrà essere molto equilibrata per non trasformarsi nella caricatura di un manettaro invasato, come vorrebbero alcuni dei suoi, o in un garantista pavido, cosa che temono altri suoi alleati.
Certo Orlando non poteva rifiutare. La sua corrente nel Pd, che vede in Peppe Provenzano il suo pupillo, ha bisogno di questa vittoria e di questo ruolo dopo aver compreso che la Schlein non farà sconti alla vecchia guardia se mai dovesse vincere. Ed aver governato come ministro di Renzi lo mette automaticamente fuori dal novero dei futuri ministri. Perciò gli serve un colpo da politico di razza: tenere tutto assieme, da Renzi ai 5 Stelle, dai garantisti ai manettari, per dimostrare che la sua candidatura può essere l’inizio della riscossa e non il prosieguo della sconfitta.
Dipenderà anche da cosa farà il centrodestra, certo, da come andrà il Governo e da quanto la Meloni ed i suoi vorranno investire. Ma a Roma si percepisce che sta iniziando il turno preliminare delle elezioni politiche e quelle della Liguria non sono elezioni qualsiasi come lo furono Umbria o Abruzzo. È una Regione essenziale anche sul piano simbolico. È la Regione di Grillo, conquistata dai moderati, ex Regione rossa. Un misto di storie che la rendono una preda ambita.
Chissà se Orlando perderà il senno o se sarà lui a vincere e sopravvivere dopo la battaglia, sfatando il mito. Quel che è certo è che per ora corre su un destriero a cui manca una piccola ma essenziale gambetta. Quella di Renzi, come al solito.
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