Mentre la politica italiana sembra saper scivolare solo nel gossip, possibilmente piccante, facendo diventare il caso Sangiuliano l’argomento del giorno (o meglio, della settimana), la ripresa di settembre sottolinea invece un’importante novità nel quadro politico che i più sembrano minimizzare.
In vista dei tre turni elettorali regionali d’autunno la sinistra agricola del “campo” – stretto, largo o larghissimo questo si vedrà – sta infatti mettendo comunque le basi per una generale convergenza politico-elettorale che potrebbe diventare strategica e colpire come una grandinata un centro-destra che sembra ancora tenere la guardia abbassata.
Dobbiamo sempre ricordarci che una legge non scritta, ma inequivocabile e sempre confermata nei fatti, segnala che da 30 anni in qua vince sempre lo schieramento politico capace di superare le proprie divisioni interne unendo tutte le sue variegate componenti. Le elezioni vengono invece regolarmente perse da chi si divide, anteponendo a una strategia generale tante piccole questioni locali o di principio capaci di dividere o almeno di frastornare l’elettorato.
Ovvio che i media avversari giocano un ruolo importante nel sottolineare le divisioni o almeno le confusioni altrui, ma quello che conta è l’immagine finale che ne esce, o come almeno viene percepita dall’elettorato.
Così, mentre in questo scampolo di estate a sinistra si cerca un’unità almeno di facciata, nel centrodestra contano invece i distinguo tra alleati di governo con i nervi tesi, pronti a guardarsi in cagnesco più che a condividere, ciascuno geloso delle proprie peculiarità e intento a difendere il proprio orticello elettorale.
Sull’altro fronte invece la Schlein, dopo aver incassato il successo europeo (dovuto più ai voti personali dei luogotenenti Pd che suoi, ma quello che conta è il risultato finale) innanzitutto ne è uscita rafforzata, ha bloccato le spinte centrifughe interne al partito che volevano giubilarla dalla segreteria e ora sta concretamente lavorando a un’alleanza più ampia.
I 5 Stelle, che faticosamente sopravvivono a loro stessi, sanno benissimo che un abbraccio formale con il Pd potrebbe essere per loro mortale, ma non hanno molte altre possibilità per rimanere in gioco. L’intesa è conveniente anche per la sinistra di AVS, che riuscirebbe così a capitalizzare il suo minimo valore aggiunto in termini di voti, rendendoli potenzialmente vincenti e determinanti nell’ipotesi dei due schieramenti contrapposti dove serve anche “il voto in più” per vincere.
D’altronde l’Italia politica da decenni è sostanzialmente divisa a metà con un 40-45% di voti già schierati per ciascuna delle due parti e un 10-15% di voti fluttuanti che presta una maggior attenzione a nomi e programmi o che alterna voti di protesta su questo o quel leader che nello specifico momento sembra vincente. Il risultato è appunto che chi si arrocca in senso unitario vince, chi si divide perde.
Per questo, alla fine, dopo tante belle chiacchiere e mille distinguo il M5S non ha altra scelta che firmare un accordo con la Schlein, che può così mettere in ghiaccio quasi il 40% dei voti già alla partenza della sfida alla Meloni, buona base per una una vittoria.
In mezzo resta Renzi che però ha perso slancio e credibilità, forse distratto dagli affari in Arabia Saudita, e che sta diventando più un elemento di disturbo che di attrazione visto che neppure l’intesa con Calenda ha funzionato.
Sull’altro versante solo i vertici marciano compatti, ma se la Meloni, Salvini e Tajani ostentano sicurezza e volontà comuni di intenti, nelle retrovie la concorrenza è evidente, così come i reciproci sgarbi, che tendono a logorare un rapporto di vicinato condiviso dai leader, ma meno gradito alla base.
Ecco quindi che ogni questione diventa motivo d’attrito, con il necessario moltiplicarsi del lavoro per i pontieri che vogliono contenere i danni. I dubbi sulle scelte per i candidati-governatori ne sono un esempio, soprattutto quando non emergono personaggi di alto spessore.
La gente, più attenta purtroppo ai gossip più o meno pruriginosi, osserva disincantata, e – a parte l’indubbio seguito personale della Meloni – una parte dell’elettorato moderato rischia comunque di diventare più scettica; con il rischio che un eventuale 3 a 0 per la Schlein in Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna diventi detonatore di nuovi futuri dissidi.
Anche perché andranno al voto tre Regioni che fino all’altro ieri erano storicamente “rosse” e va tenuto conto delle crescenti difficoltà economiche interne ed internazionali che tra elezioni in USA, crisi tedesche e conflitti vari rendono comunque difficile la vita del governo.
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