Il Rapporto Draghi nelle mani di Fitto

Fitto dovrebbe diventare presto Commissario europeo con una delega importante relativa al Ngeu tra i cui ideatori c'è stato anche Draghi

C’è sicuramente un europeo – un italiano – cui il Rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa> sarà prezioso da subito: il nuovo Commissario italiano all’Ue, Raffaele Fitto. Per il quale era attesa già oggi l’ufficializzazione della delega al Recovery Plan, prevedibilmente con il grado di vicepresidente esecutivo di Ursula von der Leyen. Il leggero ritardo annunciato non dovrebbe comunque mettere in discussione il ruolo del ministro uscente per gli Affari europei.



Per Fitto l’impegno si annuncia dunque elevato e complesso. Eredita – sulla scala dei Ventisette paesi-membri dell’Unione – la gestione del più importante intervento strategico dell’Unione da quando è nata, al netto della nascita dell’euro. Il progetto iniziale di resilienza e ripresa di fronte alla pandemia è stato finanziato per poco meno degli 800 miliardi assunti da Mario Draghi come “unità di misura” per un nuovo “piano Marshall” di cui l’Europa avrebbe assoluta necessità per rilanciarsi sul finire della crisi geopolitica.



Del colpo di reni del 2020 l’ex Presidente della Bce è stato il propugnatore e l’ideatore – fin dalle prime drammatiche settimane del Covid; poi ne è stato esecutore-modello come Premier di uno dei tre maggiori Paesi dell’Ue. Quel piano ha appena superato il giro di boa nell’arco dei 7 anni di sviluppo: condurlo in porto – per Fitto – sarà una responsabilità di primo livello. Anche perché qualsiasi nuovo passo strategico – sia o no modellato sulla nuova “agenda Draghi” commissionata da von der Leyen – avrà comunque come benchmark il Recovery Plan by Draghi. Le cui due guidelines sono state chiare fin dal primo giorno.



La prima è l’impossibilità di pensare una strategia – economica ma non solo – se non in chiave europea. Il Recovery Plan è stato modulato in 27 Pnrr nazionali ma la matrice è stata unica, così come la regia di Bruxelles (a sua volta chiamata a un salto di qualità nella governance europea). Di qui la seconda opzione, quella  finanziare il Recovery con risorse europee: anche se la Germania (allora come ora) rifiuta di udire la parola “eurobond”. Ma è per questa ragione che la frustata di Draghi ha assunto rilievo: non prima che il Rapporto abbia specificato i grandi obiettivi strategici per l’ennesimo “dopoguerra” (innovazione tecnologica, decarbonizzazione e costruzione di un’euro-difesa).

Nelle mission di Fitto non vi è la malintesa difesa d’ufficio di una vicepresidenza “italiana” per quanto autorevolissima a livello europeo. Vi è invece il miglior utilizzo di un incarico-chiave, assegnato all’Italia anche perché Draghi ha saputo essere un brillante tecnocrate europeo e un efficace Premier tecnico di un Paese fondatore dell’Ue.

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