Esiste veramente nella società, come accennavamo in un precedente articolo, qualche segnale di consapevolezza e di assunzione di responsabilità rispetto alla questione, diffusa come non mai nella nostra epoca, del malessere degli adolescenti e dei giovani? Quali esperienze possono essere considerate utili e di interesse generale? Da parte di chi vengono promosse, sulla base di quali presupposti e finalità?
Alcune iniziative, sorte “dal basso” in diversi punti del territorio nazionale e a partire da differenti approcci, si sono confrontate nel workshop dal titolo evocativo Il grido dei ragazzi: come risuona nella comunità?, realizzato il mese scorso al Meeting di Rimini. Val la pena di raccontare quello che è emerso.
1. Operatori di un servizio psicosociale di un’azienda sanitaria mettono a punto un progetto per accogliere la domanda di persone tra i 15 e i 24 anni in difficoltà, senza filtri di accesso, in un luogo privo di connotazioni psichiatriche, allo scopo di capire i problemi e prevenire disturbi gravi. Nello stesso territorio, ai giovani con importanti sintomi acuti, insieme alle cure necessarie, il servizio offre un percorso personalizzato di recupero delle relazioni e del ruolo sociale supportato da educatori e da interventi multidisciplinari. Una doppia progettualità con reciproche aree di interfaccia.
2. Altri operatori di un servizio analogo, di fronte all’incremento dei disturbi (es. ansia, depressione, attacchi al corpo) nella popolazione 14-25 anni durante la pandemia, pensano a modalità di intervento integrate che da subito coinvolgano enti, scuole, associazioni operanti nel territorio. Lo scopo di tale collaborazione è promuovere l’accoglienza e la cura senza che il ragazzo si senta stigmatizzato, favorire la sua integrazione sociale, fare prevenzione anche attraverso l’apporto della comunità locale, oltre che della rete dei servizi. Un progetto-giovani rivoluzionario dell’abituale modus operandi separato dei servizi.
3. Live your Life è una manifestazione che ha coinvolto numerosi ragazzi di scuole superiori e associazioni giovanili in un percorso di incontri formativi e attività laboratoriali per un periodo di 5-6 mesi. Questo gruppo formato ha a sua volta promosso tornei, concorsi fotografici, attività creative, passeggiate nella natura e una grande kermesse artistico-musicale in occasione della Giornata mondiale contro la droga, attirando migliaia di giovani. I ragazzi hanno anche gestito la comunicazione dell’evento realizzando locandine, spot e conferenze stampa. Il progetto ha puntato a coinvolgere direttamente gli adolescenti, incoraggiando una partecipazione attiva e responsabile nel combattere le dipendenze e promuovere una cultura di libertà e consapevolezza. Insomma un’esperienza, ancor prima che “per” gli adolescenti, “con” gli adolescenti.
4. “Parlare di suicidio a scuola” è un progetto promosso da una cooperativa sociale, in collaborazione con alcuni operatori sanitari e i docenti di una media superiore. L’obiettivo è affrontare il tema del suicidio nelle scuole, in una zona sensibile ai suicidi giovanili, con l’aiuto di un’équipe multidisciplinare. Negli incontri si discute apertamente, privilegiando il dialogo e l’ascolto attivo degli studenti. Il percorso ha l’obiettivo di costruire relazioni educative significative e modi di intervenire in situazioni di crisi, con la scuola e la comunità partecipi, e si sta via via sviluppando.
5. Un ambulatorio pediatrico si imbatte nei disturbi alimentari in età evolutiva come anoressia, bulimia e nuove patologie quali ortoressia e vigoressia, specchio della crisi sociale ed educativa. La nutrizione è strettamente legata alle relazioni familiari, sociali e con i pari. Aumentano i disagi psicologici giovanili, tra aspettative genitoriali elevate e disconnessione dalla realtà favorita dalle tecnologie informatiche. L’esperienza sul campo di un professionista, posto di fronte a tale realtà, dice l’importanza di lavorare insieme con famiglia e scuola, evitando di isolarsi nel puro intervento medico.
6. Il progetto “Quant’è bella adolescenza” ha l’obiettivo di affrontare il disagio partendo dagli aspetti positivi della fase di sviluppo adolescenziale. Attraverso quattro incontri, educatori, insegnanti, genitori e ragazzi hanno condiviso esperienze e riflessioni per comprendere meglio la realtà attuale. Una rassegna cinematografica ha proposto temi attuali tra i più scottanti per gli adolescenti. La mostra Da solo non basto ha documentato ulteriormente il disagio giovanile e l’importanza del supporto adulto per i ragazzi. Il concerto “È tutta la vita che cerco me stesso” ha visto i giovani esibirsi con testi di Marrakesh e autori classici, trovando risonanza nelle loro esperienze. Il percorso infine convoca la comunità territoriale all’impegno per una “coalizione”.
7. Proprio realizzare la “Coalizione comunitaria” è l’esito del progetto On Board, che da tempo opera nel tessuto sociale, coinvolgendo enti, istituzioni e associazioni del territorio, con l’obiettivo di sensibilizzare la gente comune, fare formazione capillare (operatori e popolazione), individuare i segnali di disagio e creare una rete di supporto tra servizi sanitari, sociali e comunità in favore dei giovani. Fondamentale la creazione di un Tavolo di coordinamento stabile, il Board, gruppo di operatori impegnati sul piano personale a capire e a collaborare, cui partecipano dipartimenti salute mentale-dipendenze e materno-infantile, scuole, oratori, centri di aiuto allo studio, consultori, una fondazione e altri: il lavoro continua, guidato dai Piani di zona dei Comuni e da una cooperativa sociale, dedicandosi anche a integrare attività e progetti nel territorio.
Come conclusione generale, appare decisivo l’aspetto del lavoro condiviso centrato sull’alleanza tra soggetti sociali, sullo sviluppo di un pensiero e sulla motivazione personale dei partecipanti. Più che intercettare i ragazzi, si tratta di essere intercettati da loro sulla base della fiducia che la persona ripone nella relazione con un altro credibile. Mobilitare la rete sociale, abilitare adulti competenti, valorizzare esperienze educative che coinvolgano i giovani stessi: l’indicazione che emerge è di incoraggiare il sorgere di organizzazioni sussidiarie che sappiano ascoltare, condividere e utilizzare tutte le risorse, professionali e non, disponibili nel territorio. Il modello della Community Coalition, come buona pratica riconosciuta, ne è esempio.
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