“La sicurezza di chi esercita la professione medica e sanitaria è diventata una questione nazionale, drammaticamente attuale e rappresentativa di una regressione sociale e culturale del nostro Paese” (Sindacato medici italiano). Il fenomeno delle aggressioni ai danni di operatori sociosanitari dall’Ospedale San Paolo di Napoli al Policlinico Riuniti di Foggia, solo per citare due episodi recenti, ha assunto una dimensione allarmante: gli episodi di violenza, spesso perpetrati da pazienti o dai loro familiari, sono diventati una minaccia quotidiana per coloro che lavorano a stretto contatto con persone in condizioni di sofferenza e fragilità. Ma occorre tener presente che gli episodi di violenza sono al tempo stesso causa e conseguenza di disorganizzazione, malfunzionamento e scarsa formazione dei servizi sociosanitari. Le cause degli episodi di violenza sono molte e molto complesse. La violenza è un fenomeno di sistema, risultato di una complessa interazione fra le caratteristiche degli utenti, dell’ambiente e gli stimoli scatenanti. Sarebbe un errore ridurre il fenomeno della violenza in contesto sanitario ai soli protagonisti della violenza. Il rispetto dei diritti dei pazienti potrebbe migliorare, non di poco!, la possibilità di prevenire i fenomeni di violenza, intervenendo sull’ambiente e su eventuali fattori scatenanti. Alcuni fattori ambientali e soprattutto alcuni modelli dis-organizzativi possono favorire eventi di violenza in ambiente sanitario: le lunghe code, il mancato rispetto dei tempi, le attese prolungate, la carenza di informazioni, la mancanza di un clima di accoglienza. Fattori che predispongono ad un aumento di stress, considerando anche l’ansia e il disagio fisico, la sofferenza, fisica e psicologica, la preoccupazione per sé stessi o per i familiari, un contesto spesso oggettivamente non confortevole.
Prevenzione dei fattori di rischio
Una parte essenziale della prevenzione degli eventi di violenza è rappresentata dalla formazione al personale, che deve essere consapevole che esiste sempre il rischio di una reazione aggressiva e può essere prevenuto e gestito attraverso uno stile relazionale che faccia percepire alla persona la sua centralità nel rapporto con il personale sanitario e gli faccia scoprire modelli organizzativi in linea con i suoi bisogni.
Una formazione idonea dovrebbe contemplare il rischio come una variabile di cui tener sempre conto. A livello organizzativo, gli episodi di violenza vanno considerati come indicatori di possibili criticità nell’organizzazione e nell’ambiente di lavoro. Di fatto ogni episodio critico dovrebbe essere accompagnato da una analisi concreta della situazione non solo per aiutare gli operatori a rielaborare il proprio disagio, ma anche per analizzare la catena degli eventi e riconoscere nell’episodio quali misure correttive andrebbero inserite nella propria organizzazione.
Questo consentirebbe di prevenire il ripetersi di certi fatti e di migliorare le condizioni di lavoro complessive, aumentando il livello di sicurezza e benessere degli operatori. Non si tratta infatti solo di un problema di sicurezza sul lavoro, ma anche di una presa in carico dei curanti, tutti, qualunque sia il loro ruolo.
Il cambiamento culturale necessario alla luce dei diritti del paziente
Ma per questo è necessario un cambiamento culturale, che protegga medici e infermieri dallo stress, da ritmi di lavoro usuranti, dalla mancanza di strumenti e presidi adeguati, da un malfunzionamento che coinvolge l’intero sistema.
Per raggiungere questo obiettivo è di grande utilità la Carta dei diritti per la sicurezza del paziente, Patient Safety Rights Charter, recentemente richiesta dall’OMS. Sono 10 diritti essenziali che troppo spesso sono sottovalutati: diritto a un’assistenza tempestiva, efficace e adeguata e a processi e pratiche sanitarie sicure. Diritto a personale sanitario qualificato e competente e alla sicurezza dei prodotti medici e loro uso sicuro e razionale. Diritto a strutture sanitarie sicure, diritto alla dignità, al rispetto, alla non discriminazione, alla privacy e alla riservatezza. E ancora, diritto all’informazione, all’educazione e al supporto nel processo decisionale e diritto di accesso alle cartelle cliniche. Infine, diritto ad essere ascoltati e ad eque risoluzioni e diritto al coinvolgimento del paziente e della famiglia. Sono i 10 diritti basilari che devono essere rispettati nel momento in cui vengono pianificati, progettati e forniti i servizi sanitari. Per affrontare tale sfida è necessario un approccio strategico che preveda politiche e azioni in cui siano impegnati tutti gli attori del sistema: policy-maker, manager, clinici, ricercatori, pazienti, familiari, caregiver, cittadini.
Conclusioni
Se è vero che occorre far rispettare le leggi, a cominciare dal D.lgs. 81/2008 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro in capo ai datori di lavoro, occorre anche investire sul personale e sulla sua formazione, ma anche e soprattutto sulla riorganizzazione del SSN. Una riorganizzazione che deve partire dai diritti fondamentali del malato, dalla sua stessa sicurezza. Il decreto legislativo però non contiene alcun riferimento esplicito alla violenza come fonte di rischio, né al fatto che il principale punto di riferimento sono i diritti degli utenti. Si tratta di una grave lacuna, soprattutto alla luce della cronaca di questi ultimi anni. Il rischio è di attribuire gli atti di violenza all’utente, che è uno solo degli elementi del fenomeno, dimenticando che la sicurezza è il risultato di un complesso di azioni correttive che tiene conto di tutti i fattori: personali, ambientali e organizzativi.
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