Fare investimenti per sostenere la domanda e creare nuova occupazione. È sempre stata questa la necessità principale per la politica del lavoro in Italia. E anche adesso, dopo il periodo della pandemia, festeggiamo la crescita costante del tasso di occupazione come effetto della crescita economica.
Un interessante paper di ricerca curato da Francesco Seghezzi per Adapt cerca di sollevare l’attenzione sul cambiamento radicale che è in corso sotto i nostri occhi. Il problema principale del mercato del lavoro è oggi l’offerta di lavoro e ci chiede di adeguare a questo cambiamento le politiche del lavoro.
Il fattore principale che incide sul cambiamento in corso è il cambiamento demografico. Il calo delle nascite, problema europeo che però in Italia è più accentuato, sta già cambiando la composizione della popolazione in età lavorativa. Nell’arco degli ultimi 10 anni è leggermente diminuita la quota dei giovani, è molto diminuita la quota dei lavoratori in età centrale ed è aumentata la quota di lavoratori over 50. Per cogliere la dimensione del fenomeno in 10 anni la popolazione in età lavorativa, 15-64 anni, è diminuita di 1,6 milioni di persone. Fra i lavoratori scendono di 2,6 milioni di unità i lavoratori 35-49 anni e crescono di 1,9 milioni gli over 50.
La crescita del tasso di occupazione caratterizza gli ultimi 10 anni in tutta Europa. Anche nel nostro Paese il trend di crescita caratterizza l’ultimo decennio. Il numero totale di occupati è però cresciuto meno del tasso di crescita dell’occupazione. Il calo della popolazione agisce sul mercato del lavoro con un aumento dei lavoratori anziani e una diminuzione percentuale dei lavoratori più giovani. Questo andamento se dovesse rimanere costante, e con l’attuale tasso di occupazione, determinerebbe un calo della popolazione lavorativa per il nostro Paese del 3% nel 2030, dell’11% 10 anni dopo e del 15,6% nel 2050. Anche una politica che favorisse un’immigrazione finalizzata a coprire le necessità del mercato del lavoro, comunque indispensabile, farebbe fatica a coprire il fabbisogno determinato dal calo demografico.
Per la prima volta nella storia del lavoro dopo la rivoluzione industriale potremmo augurarci che l’innovazione tecnologica serva a diminuire il numero di lavoratori necessari a sostenere il sistema produttivo. Ma anche le nuove tecnologie, utili per migliorare le condizioni di lavoro e la produttività, non basterebbero a dare risposta ai cambiamenti in atto nella popolazione e nella sua composizione.
Il problema come detto riguarda tutta Europa, ma in Italia si presenta come più accentuato. È cercando di leggere a fondo la realtà del nostro mercato del lavoro che è possibile individuare politiche che rispondano con efficacia ai problemi che ci trasciniamo da tempo. Intanto possiamo partire dal fatto che l’offerta di lavoro italiana non è ancora stata attivata tutta. Abbiamo un tasso di inattività che è di otto punti superiore alla media europea.
Come spesso succede nelle analisi del lavoro, il tema riguarda soprattutto giovani e donne. Il tasso di occupazione giovanile e femminile italiani sono molto più bassi di quanto avviene negli altri Paesi europei. Nell’ultimo decennio (dati al 2023) il tasso di occupazione femminile è cresciuto di 7 punti passando dal 46,2% al 52,5%. Mancano ancora 10 punti per essere allineati all’Europa.
Anche per il tasso di occupazione giovanile il trend è positivo e il tasso di occupazione 15-34 anni è salito del 5%. Anche i Neet sono passati da tre a due milioni, ma il tasso complessivo dei giovani occupati ha ancora ampi margini di miglioramento.
Politiche che portino ad aumentare il tasso di attività complessivo devono prevedere interventi sui servizi di sostegno alle famiglie. Ancora troppo spesso l’assenza dal mercato del lavoro delle donne è determinato dalla mancanza di servizi per l’infanzia o di assistenza per gli anziani. Il risultato è relegare le donne alla funzione di assistenza domestica mancando la rete di servizi pubblici essenziali.
Oltre a rispondere alla domanda di servizi occorre fornire una rete di politiche attive del lavoro capaci di prendere in carico donne e giovani che sono rimasti ai margini del mercato del lavoro per dargli una formazione che garantisca un inserimento lavorativo. Non una formazione generica, ma orientamento e accompagnamento al lavoro attraverso la formazione devono essere le finalità delle politiche attive.
Un aumento delle disponibilità dell’offerta passa anche per un miglioramento del nostro mercato del lavoro. Vi è una parte di lavoratori che si trova avvantaggiata dall’attuale situazione di scarsità di offerta. Lavoratori con buone qualifiche tecniche e professionali stanno dando vita a un aumento di dimissioni volontarie. Non sono dimissioni per fuga dal lavoro, ma processi di miglioramento delle condizioni di lavoro sia economiche che di conciliazione con la vita famigliare.
A fronte di questa quota di lavoratori che hanno visto migliorare la loro occupabilità per il calo di offerta abbiamo però un aumento di lavoratori sottoccupati ed è cresciuto il numero di lavoratori in part-time involontario. Insieme a questo fenomeno che nasconde anche una parte di lavoro grigio, parte regolare e parte no, abbiamo un 27% di lavoratori sovraistruiti, ossia impegnati in occupazioni che non richiedono il livello di formazione che hanno acquisito.
Per migliorare il nostro mercato del lavoro affrontando questi temi vi è bisogno di un impegno che veda coinvolti tutti gli attori. Dall’inizio con servizi di orientamento che aiutino a scegliere percorsi formativi più allineati con i lavori del futuro, alla crescita della formazione professionale duale, alla crescita delle dimensioni di impresa e a investimenti tecnologici nel settore dei servizi. Essenziale è che cresca la consapevolezza che l’inverno demografico sta già agendo sul mondo del lavoro e che una crescente partecipazione dei lavoratori alle scelte delle imprese può aiutare ad affrontare meglio la sfida per portare più persone al lavoro e lavorare meglio tutti.
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