La tragedia di Saviano si è portata via tre generazioni. La nonna Autilia (80 anni), la mamma Enza (41) e due dei suoi tre figli (un bimbo e una bimba di 6 e 4 anni) sono morti travolti da un’esplosione spaventosa sul far del mattino di ieri, causata dalla deflagrazione di una bombola che perdeva gas: un rombo spaventoso, e la casa di due piani dove abitavano, nella cittadina campana vicino a Nola, si è accartocciata su di loro in un istante. Antonio, marito e padre, è stato estratto vivo dalle macerie, così come l’ultimo nato della nidiata, Gennaro, 2 anni. Il papà, 40 anni, è gravissimo – le ultime notizie, sulla sua lotta in sala di rianimazione, sono tuttora accoratamente incerte – e la gente del paese, ma anche noi, prega perché quest’uomo devastato dalle ustioni resista, si riprenda e possa stringere al petto il piccino di due anni che i medici assicurano che guarirà.
Perché lui sì e i fratellini, e la mamma e la nonna, no? Okay, il suo femore tornerà saldo, la camminata sarà svelta, ma come potrà reggere l’enormità delle domande che si porterà dietro per tutta la sua esistenza? E con quali balbettii potrà consolarlo il papà per cercare come il figlio di vivere con un senso? E la comunità intorno oggi così affettuosa e pronta ad accudire entrambi, come saprà rispondere nei mesi e poi anni ai loro angosciati silenzi, lamenti, sofferenza, voglia di maledire, speranza di pace per i loro cari morti e per sé stessi? E noi?
Quante cose non sappiamo. Personalmente, e di sicuro colpevolmente, ignoravo persino l’esistenza di questa cittadina in provincia di Napoli, pensavo in uno stupido primo istante che il “crollo di Saviano” fosse una brusca caduta di popolarità dello scrittore Roberto omonimo autore di Gomorra. Questi corpicini morti, accanto a mamma e nonna, e i sopravvissuti dalle storie semplici e dai nomi sconosciuti ci ricordano la realtà, ce la impongono e ci chiedono di uscire dalla bolla di apparenze cui rischiamo di consegnare pensieri e sentimenti.
Quante cose non sappiamo. Alle sette del mattino della domenica Antonio stava per uscire al lavoro per il turno al supermercato, sua madre al piano di sopra ha provato ad accendere il fornello del caffè mattutino. Com’è che non si è accorta di aver lasciato aperto il gas, una distrazione sua, o forse era la bombola a essere stata difettosa, e la negligenza è stata di chi doveva controllare… chi è il colpevole?
Sta avendo successo una serie su Netflix prodotta in Messico. Si chiama L’incidente. Una dimenticanza banale causa in incidente dove muoiono tre bambini, si scatena il rifiuto di accettare che qualcuno possa avere sbagliato, amici e parenti sono guidati solo dal desiderio di vendetta, il rifiuto del limite umano, ed è rifiutata in origine anche solo la possibilità che queste morti abbiano un senso e il dolore non sia una dannazione senza rimedio. A Saviano abbiamo avvertito che nello sgomento, dentro la cenere della morte, si è aperto uno squarcio di pietà e amore, testimoniato da forze dell’ordine, autorità, gente comune, tutti protesi ad essere utili e buoni.
Quante cose crediamo di sapere e, se invece non ci riusciamo, allora pretendiamo di individuare il colpevole, magari individuando in un Dio indifferente la causa del dolore innocente. Non ci sono cose da dire, ma una compagnia da porgere. La Chiesa ha esperienza di Cristo in croce che parla sette volte, in una di esse Gesù dice: figlio ecco tua madre, madre ecco tuo figlio. Non possiamo lasciare solo nessuno, abbiamo questo mandato.
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