“Riscoprire quella deflagrazione di vita che ci ha portato san Francesco, quell’esplosione di vita che l’ha spinto a comporre un testo poetico come il Cantico delle creature che oltre a essere ‘matrice’ della letteratura occidentale, è un dono inestimabile e attualissimo per noi immersi nei problemi di oggi a riguardo di quanto si indica come natura e come natura umana”. È questo lo spirito con cui Davide Rondoni, poeta e scrittore, è al lavoro come presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni dell’VIII centenario della morte di san Francesco che ricorrerà nel 2026.
Intanto il 30 settembre, al Belvedere di Palazzo Lombardia, nella sede della Regione a Milano, sarà inaugurata la mostra da lui curata Cum tucte, l’alleanza tra uomo e natura ideata e realizzata dalla Fondazione Lombardia per l’Ambiente.
Una mostra che sarà aperta per tutto il mese di ottobre e che rifacendosi a quelle due parole del Cantico di Francesco – cum tucte – propone un paradigma originale nel modo di guardare all’ambiente tagliando di netto le derive ideologiche oggi molto diffuse.
Davide Rondoni, come procedono i preparativi per l’ottavo centenario della morte di san Francesco?
Si stanno mettendo in rete tante iniziative. Personalmente ho orientato il comitato per le celebrazioni a cercare di realizzare interventi che rimarranno nel tempo. Ovviamente non mancheranno eventi di varia natura, ma il cuore del lavoro che abbiamo impostato, visto che san Francesco non è un marchio da diffondere ma un santo da imitare, è di dar vita a iniziative che rimangano nel tempo. Tutto questo con la collaborazione di diversi soggetti (ministeri, gallerie nazionali, ecc.) in modo che rimangano dei segni che invitino a guardare a questa figura di santo più che degli eventi che si autoesibiscono.
E cosa si augura che possa venir fuori soprattutto da questo appuntamento?
Credo che la figura di san Francesco sia interessante perché richiama tutti a una vera esplosione di vita, che è un po’ lo slogan che ho dato al comitato. Molti pensano che san Francesco sia un estremista. In realtà lui ci ha salvato dagli estremisti che ai suoi tempi erano i catari con il loro spiritualismo e che ancora oggi, in nuove forme, pensano che per amare Dio bisogna disprezzare il mondo. È un uomo che ha ridato grande credito alla realtà, alle creature, e quindi all’esperienza. Tanto è vero che con i francescani sono nate le banche, le prime attività di credito, sono iniziate la rivoluzione nell’arte con Giotto e la grande matematica con Pacioli. È un cristianesimo che ama la vita, quello di Francesco. La ama con tenerezza e letizia. E questo cristianesimo è ciò di cui abbiamo bisogno oggi.
Dove sta la sua contemporaneità?
La vedo nel fatto che insegna ad amare senza possedere. La povertà di Francesco non è la miseria, ma sta nel riconoscere che la realtà è tutta un segno del suo vero padrone. Quindi la tua donna non è tua e i tuoi figli non sono tuoi. Questa è la sua povertà. Non è togliersi un bene materiale. Altrimenti sarebbe giusto dire al cardinale Zuppi: “perché parli sempre di poveri e stai nel palazzo più ricco di Bologna?”. Perché evidentemente la povertà non è la miseria.
Il rapporto dell’uomo col creato, espresso nel Cantico delle creature, oggi è stato stravolto. Da dove si può ricominciare?
Ho da poco pubblicato insieme a padre Bormolini un commento intitolato Vivere il Cantico delle creature. Si può ripartire da questo testo poetico che ci ha lasciato in dono Francesco, dal leggerlo, dal riascoltarlo, dal ripeterselo. Perché la poesia va un po’ masticata, ruminata, come dicevano gli ebrei con i salmi. E ruminandolo ci si accorge che non è un inno green, ma è il canto di un uomo che collega la sua voce all’universo intero, che non disprezza le creature per amare il creatore, ma anzi le tiene insieme. “Laudato sie mi Signore cum tucte le Tue creature”. Ecco, quel cum ha salvato la cultura europea. E dall’altra parte c’è una grande attenzione alla qualità tipica dell’uomo che è quella del perdono. Infatti dice: “Laudato si’ mi Signore, per quelli ke perdonano”. Il perdono è l’atto libero, Francesco sa benissimo che ciò che qualifica l’uomo rispetto a tutte le cose e alla natura, è la libertà.
Oggi si parla molto dell’esigenza di un ritorno alla cosiddetta natura. In questa tendenza ci sono elementi di verità da valorizzare, o siamo di fronte a una distorsione della realtà?
Sicuramente c’è l’esigenza di una vita più naturale. Poi bisogna intendersi sull’aggettivo naturale. Non è detto che se bevi più tisane invece di Coca-Cola fai una vita più naturale. Il termine natura è una parola misteriosa, da maneggiare quindi con un po’ di attenzione, non come si sta facendo oggi come se si sapesse già cos’è. La natura, diceva Eraclito, tende a nascondersi, è un mistero. Per esempio oggi molti scambiano la natura con il paesaggio, che è invece frutto del lavoro dell’uomo. Per vivere un’esistenza più naturale, visto che mi occupo di parole nella vita, bisogna guardare dentro la parola natura. E dentro questa c’è la parola nascita. La natura è tutto ciò che è nato. Per cui vivere una vita più naturale non vuol dire fare qualche passeggiata in più nei boschi, che senz’altro non fa male. Io vivo in un bosco, ho portato i miei figli a vivere fuori città, ed è sicuramente più bello anche se più scomodo. Non basta però questo. Occorre stare attaccati alla propria nascita, agli elementi che ha dentro. E due sono quelli fondamentali. Il primo è che non ti fai da solo, quindi qualsiasi individualismo, qualsiasi autodeterminazione è la cosa più innaturale all’uomo. E la seconda cosa è che siamo tutti bastardi. Cioè non esiste la purezza biologica. La purezza non è una qualità biologica come sembra oggi. La purezza è una questione morale, sentimentale e spirituale. Quando invece si scambia la purezza per un livello biologico dell’esistenza, il passaggio all’idea della razza pura è molto veloce. Infatti il più famoso vegano della storia si chiama Adolf Hitler. Non ce l’ho coi vegani, dico solo attenzione che la purezza non è biologica.
Nei prossimi giorni verrà inaugurata a Milano la mostra Cum tucte, l’alleanza tra uomo e natura, che nel titolo riprende proprio questa espressione tratta dal Cantico delle creature…
La mostra è nata dal dialogo con gli amici della Fondazione Lombardia per l’Ambiente che hanno grande competenza e capacità. Confrontandomi con loro si è fatta strada l’idea che realizzare oggi una mostra sull’ambiente incardinata sul Cantico delle creature sarebbe stato non solo un po’ originale rispetto al mainstream, ma anche una proposta più forte, più seria. Cum tucte vuol dire che la nostra cultura deve molto a un uomo, a un santo, che ha saputo lodare il creatore insieme alle creature. Non ha separato, come facevano i catari e come fa anche tanto spiritualismo contemporaneo, l’esistenza di Dio e il valore delle cose e delle persone. Per san Francesco vale Dio e, legato a Dio, vale anche il più reietto degli umani, ogni forma di essere, pure quella più piccola e indifesa.
È l’idea di ecologia integrale richiamata anche dal Papa?
Sì, hanno trovato questa formula perché ormai la parola ecologia si è imposta. Anche se vorrei aggiungere che nella Chiesa attuale non c’è una grande originalità di pensiero – lo dico da cattolico anarchico romagnolo – per cui si rischia di prendere parole sul mercato per poi usarle o provare ad adattarle. Con tutto il rispetto per papi, cardinali e vescovi, sarebbe bello inventare altre parole, anziché usare quelle di altri. Credo che cum tucte sia un modo per dire che “con tutte le creature” è molto meglio di ecologia integrale.
La mostra sarà visitata non solo ma soprattutto dalle scuole e quindi dai giovani. Quanto è importante oggi per questi approfondire il tema del rapporto col creato in modo non ideologico?
Bisogna partire dalla domanda su qual è la natura dell’uomo, altrimenti si ingannano i giovani. Se poniamo la questione della natura che ci circonda a dei giovani, questa va sempre legata al problema della natura dell’essere umano. È quello che gridava Leopardi: “ed io che sono?”. Senza rispondere adeguatamente a tale domanda qualsiasi discorso fatto ai giovani sull’ambiente o sulla natura è non solo parziale, ma anche menzognero. Se il punto di vista da cui si parte non è chiarito, come insegna la scienza, ma questo vale per qualunque attività di conoscenza umana, qualsiasi ragionamento sull’oggetto diventa non solo inutile e un po’ specioso, ma può essere anche pericoloso. Dobbiamo dire a questi ragazzi che cos’è un uomo: è un algoritmo venuto bene? È un carciofo? O è rapporto con l’infinito, come gridavano don Giussani, san Francesco, Pasolini, come i grandi geni dell’umanità hanno sempre detto?Considerando la natura dell’uomo si pone il problema della natura che ci circonda. E si pone come paradosso, perché la natura non è solo qualcosa da amare, ma anche qualcosa contro cui lottare. San Francesco baciava i lebbrosi e ammaestrava il lupo, non pensava che la natura fosse buona in sé. È buona in quanto segno di Dio. Né Francesco né Leopardi hanno mai chiamato la natura “madre”, altrimenti prima o poi finirai col definirla matrigna. Se penso ai miei amici in Romagna alle prese con la seconda alluvione in poco tempo, avrebbero tutti i motivi per chiamarla matrigna. Quindi attenzione, perché con i giovani si usa spesso una retorica fallace. Non chiarendo qual è la natura dell’essere umano, ma riducendola, a secondo dei casi, ad aggettivo LGBTQ oppure a pura biologia o a tecnologia, qualsiasi discorso sulla natura attorno a noi diventa inutile e soprattutto sbagliato.
(Piergiorgio Chiarini)
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