“La situazione economica, occupazionale e di finanza pubblica dell’Italia è in miglioramento malgrado la caduta dei livelli produttivi dell’industria, il preoccupante allargamento dei conflitti internazionali e sfide tecnologiche e ambientali di crescente complessità”: con questa manifestazione di ottimismo il ministro dell’Economia ha inviato a Bruxelles il Piano strutturale di bilancio a medio termine. Il testo pubblicato ieri conferma per buona parte le anticipazioni.
“Secondo le proiezioni della Commissione, ipotizzando un aggiustamento su sette anni, l’aggregato di spesa netta dovrebbe crescere in media dell’1,5 per cento in termini nominali, coerentemente con un miglioramento ex ante del saldo primario strutturale di 0,6 punti percentuali di Pil. Il traguardo per l’anno finale dell’aggiustamento, il 2031, è un surplus primario strutturale pari al 3,3 per cento del Pil. Sempre secondo la Commissione, nel 2029, anno finale del Piano, tale surplus dovrebbe arrivare al 2,1 per cento del Pil”. Il dato che più colpisce è la discesa del deficit sul Pil al di sotto del 3% già alla fine del 2026. Un obiettivo importante, ma che implica due anni di “economie fino all’osso” come avrebbe detto Quintino Sella.
Il punto di partenza del piano è più favorevole anche rispetto alle previsioni di primavera. Il deficit della Pa previsto dalla Commissione per il 2024 era pari al 4,4 per cento del Pil, la stima aggiornata è del 3,8 per cento. A fronte di pagamenti per interessi pari al 3,9 per cento del Pil, il saldo primario è ora stimato lievemente in attivo (0,1 per cento del Pil). Il miglioramento della stima è dovuto sia a un più favorevole andamento delle entrate, sia a una dinamica più contenuta della spesa. “La notevole crescita dell’occupazione, unitamente all’aumento delle retribuzioni medie, ha sostenuto il gettito delle imposte sui redditi. Per quanto riguarda le spese, le misure adottate dal Governo per arrestare la corsa del Superbonus stanno producendo i risultati auspicati”.
Viene confermata la crescita del Pil dell’un per cento quest’anno. La revisione al rialzo per il 2021-2023 trascina verso l’alto anche i livelli del Pil negli anni 2024-2029. La spesa pubblica che è il punto di riferimento fondamentale è caratterizzata da un tasso di crescita più basso rispetto a quello della Commissione nel 2025 (1,3 contro 1,6 per cento) e lievemente più elevato nel quadriennio successivo (1,7 per cento in media contro 1,5 per cento per la Commissione). I corrispondenti saldi nominali (indebitamento netto della Pa) dello scenario programmatico migliorano dal -3,8 per cento del Pil di quest’anno al -3,3 per cento nel 2025, al -2,8 per cento nel 2026, al -2,6 per cento nel 2027 e poi fino al -1,8 per cento nel 2029.
Nelle proiezioni del Governo, tuttavia, il saldo primario strutturale (cioè al netto degli interessi sul debito e della congiuntura) è molto migliore già nel 2024 (-0,5 per cento del Pil contro -1,1 per cento della Commissione) e raggiunge il 2,2 per cento nel 2029, contro il 2,1 per cento stimato dalla Commissione. In base a queste cifre, insomma, quello di Giorgetti non è soltanto un ottimismo della volontà. Tuttavia, la politica di bilancio ha davvero scarsi margini.
Il ministro mette nero su bianco che diventano strutturali la riduzione del cuneo fiscale fino ai 35 mila euro di reddito e l’accorpamento dell’Irpef su tre scaglioni. Non c’è spazio per un’estensione dei benefici fiscali sia per i lavoratori dipendenti (sia era detto fino a 60 mila euro), sia per gli autonomi con una flat tax fino a 90 mila euro di reddito annuo. Non farà piacere né a Forza Italia, né alla Lega. Il Governo s’impegna a salvaguardare fino al 2026 il livello della spesa sanitaria assicurando una crescita superiore anche alla spesa netta totale (non basterà all’opposizione). Dopo verranno stanziate le risorse necessarie a mantenere gli investimenti in rapporto al Pil al livello registrato durante il Pnrr.
I cordoni della borsa si allargheranno un po’ nel 2027, anno in cui dovrebbero svolgersi le elezioni, ma anche se il deficit verrà ridotto, il debito, ora al 134,8% del Pil continuerà a salire a causa soprattutto degli effetti a medio termine del bonus edilizio. Non basteranno i proventi straordinari come quelli da dismissioni (la vendita del 15% delle Poste è in pista di lancio). “La sfida più grande per il Paese è rappresentata dall’elevato stock di debito pubblico e dal relativo onere per interessi. Essi hanno spiazzato ogni margine per disegnare politiche pubbliche di sostegno alla crescita negli ultimi decenni”, scrive Giorgetti. Sarà difficile spezzare il circolo vizioso nel quale sono intrappolate le finanze pubbliche.
Il ministro apprezza il “cambio di paradigma” grazie alle nuove regole europee che comunque si mostrano complicate da gestire, si pensi tra l’altro ai controlli semestrali. Nell’insieme la politica di bilancio nell’area euro “potrebbe risultare restrittiva a fronte delle sfide tecnologiche e ambientali a cui le altre potenze economiche continuano a rispondere con ampio utilizzo di risorse pubbliche”, scrive Giorgetti.
L’Italia avrebbe voluto che le spese straordinarie per la transizione energetica e per la difesa restassero fuori. E il rischio di una politica fiscale restrittiva aumenta se si considera che altri Paesi hanno bilanci pubblici in sofferenza: la Spagna, il Portogallo, ma soprattutto la Grecia. Il Primo ministro incaricato Michel Barnier ha già messo le mani avanti: tornare sotto il 3% entro il 2027 non è realistico, ha detto. La Francia oggi ha un deficit di oltre il 5% e un debito che supera il 110% del Pil.
Ci siamo soffermati sui conti perché sono quelli che faranno da punto di riferimento per la prossima Legge di bilancio e il confronto politico dentro e fuori della maggioranza. Ma il documento presenta una serie di simulazioni sull’impatto delle riforme tutt’altro che facili da realizzare, dalla giustizia alla Pubblica amministrazione fino alla concorrenza. Tra l’altro sono capitoli che facevano parte già del Pnrr il cui impatto positivo è legato per tre quarti a investimenti che sono ancora solo sulla carta.
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