La notizia dell’inchiesta milanese sugli ultrà di Inter e Milan non giunge inattesa. Da tempo si sapeva che i capi delle curve non erano chierichetti con il turibolo in mano a incensare i vari giocatori e allenatori. Racket, affari illeciti e ricatti per i biglietti erano all’ordine del giorno. E tutti sapevano.
Ma quello che fa più specie è il coinvolgimento della società, la commistione fra tifo e squadra. Con i capi bastone che volevano decidere e scegliere allenatori e giocatori, in una sorta di calciomercato parallelo. Da brividi la storia di Milan Skriniar, ex difensore dell’Inter, che viene convocato per spiegare la sua decisione di lasciare la squadra per il Psg di Parigi. “Tremava”, si racconta in un’intercettazione telefonica fra due capi ultrà.
Siamo una famiglia di tifosi dell’Inter. Più che tifosi. Mio padre Mario, nel primo dopoguerra, lavorava anche di domenica. Alla 8 era in trancia, fino a mezzogiorno. Poi con un panino, l’acqua e la bottiglietta di Stock 84, andava in tram a Milano, dove, all’Arena, giocava la grande Inter di Meazza.
Nel corso degli anni la passione nerazzurra del Mario è continuata fino al periodo d’oro del presidente Angelo Moratti e dell’allenatore Helenio Herrera. Sono andato spesso allo stadio con lui. Era una festa di popolo. Ci si conosceva tutti sulle gradinate. Si stringevano amicizie. Il calcio era un modo per stare insieme.
La passione si è poi trasferita a mio figlio che, per anni, ha frequentato la curva Nord. Non solo andava allo stadio, ma partecipava anche alle trasferte. Mi ricordo ancora bene il suo ritorno da Roma dopo la sconfitta con la Lazio, il 5 maggio del 2002. Erano le 6 del mattino. Aveva passato la notte sul treno con gli altri amici. Distrutto dalla fatica e avvilito dal risultato, disse solo: “Vado a letto…”.
Il tifo è come la religione, permettetemi questo ardito paragone. Ci sono dei riti, a volte stupidamente scaramantici. Degli oggetti di culto: la maglia, gli scarpini, la bandiera. L’allenatore è il sacerdote e i giocatori i chierichetti. La liturgia è fatta di cori, parole d’ordine, di sfottò nei confronti degli avversari, canzoni.
La gente ci crede. E ci soffre. Ricordo un amico, tifoso della Juventus, che, prima di una partita importante, aveva le mani sudate per l’attesa. Ricordo ancora Marco, nome di fantasia, un ragazzo problematico che, per fortuna, viveva il tifo come una valvola di sfogo. Gli ha salvato la vita in più di un’occasione.
Il calcio è lo sport più bello del mondo. Chi, come me, l’ha anche giocato a certi livelli, sa cosa vuol dire la preparazione, l’entrata in campo, le tribune gremite, il fischio d’inizio e quello della fine. Oggi, a distanza di tanti anni, quel vissuto lo rivivo davanti al televisore o con mio figlio e mio nipote (la saga continua) allo stadio.
Sporcare il calcio con pizzo, risse e soldi illeciti non può e non deve interrompere quell’emozione.
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