Se (anche) il settore dei media ha bisogno di un salutare “terremoto”

È possibile che anche il settore dei media abbia bisogno di iniziative di fusione e acquisizione a carattere europeo

L’ultimo editoriale domenicale di Maurizio Molinari come direttore di Repubblica è stato proposto sulla homepage anche in “english version” liberamente leggibile. Un’indicazione doppiamente interessante, da parte di un giornalista di vasta esperienza internazionale come Molinari, che continuerà a scrivere su Repubblica come commentatore; mentre il cambio di direzione deciso da Gedi si è inserito in un più ampio momento di ripensamento del business model.



Dunque: un’opinione qualificante di una testata qualificata come Repubblica (nel caso specifico una riflessione sul ritorno dell’antisemitismo nelle democrazie europee) è di per sé rivolta a un orizzonte che non è più soltanto quella italiano, ma è – come minimo – quello europeo, in una nuova “confrontation” (anche di idee) fra Occidente e altre macrozone globali. La versione inglese è una scelta che appare ormai obbligata per sviluppare tutto il potenziale informativo di un contenuto giornalistico. E la lettura gratuita è un investimento di marketing per la testata e di crescita civile per un Paese.



La lingua inglese e una vasta offerta free di contenuti sono del resto la formula di una testata digitale come Politico: punto d’osservazione giornalistico bi-continentale (in Europa e Usa) con una storia proprietaria egualmente condivisa fra Germania e America. È su newsite come questo che è possibile ricomporre quotidianamente il filo che lega – ad esempio – la crisi politica e finanziaria francese con quella tedesca; o l’aggiustamento dei rapporti fra il Governo italiano di destra-centro e la nuova Commissione europea. Oppure un tema super-trasversale come il futuro della transizione verde sulle due sponde dell’Atlantico. La stessa questione affrontata da Molinari (l’impatto della crisi mediorientale nelle piazze e nelle università europee piuttosto che americane) è in questa fase un collante – per quanto problematico – fra molti sistemi-Paese.



I media nazionali – al di là delle barriere linguistiche – raramente riescono a raccontare una realtà alla fine più corale, più europea di quanto sembri. Accade così – un esempio fra mille – che la leader del Pd Elly Schlein rispolveri l’ipotesi di patrimoniale pochi giorni dopo che è entrata nel programma del nuovo Governo francese (di centro-destra…). Accade che numerosi Paesi Ue del Nord Europa stiano chiudendo le frontiere contro i flussi migratori: seguendo scossoni elettorali prodotti da anni di battaglie d’opinione.

Accade anche che una grande banca italiana – Unicredit– si proponga come partner di una grande banca tedesca (Commerzbank) in via di riprivatizzazione, scuotendo violentemente l’albero del libero mercato Ue. E riscuota – inizialmente – più attenzione e appoggio da qualche quotidiano tedesco o britannico (e perfino francese) che da quelli italiani.

È possibile che anche il settore dei media abbia bisogno di un salutare “terremoto”. Che – come sta avvenendo (nuovamente) per le banche e per molte altre industrie europee – iniziative di fusione e acquisizione comincino a mettere a fattor comunque esperienze, cronache, opinioni. È una prospettiva che pare aperta sia dal mercato che dalla politica. Il salto di qualità dimensionale si profila ineludibile per ridare salute d’impresa a troppi gruppi editoriali “old” in giro per l’Ue: per affrontare investimenti indispensabili per una transizione non solo tecnologica. E – quando anche il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella non perde occasione per sollecitare un impegno nuovo per la libertà di stampa – non può che portare beneficio una miscela dinamica di approcci professionali ancora molto nazionali.

Nella “transizione giornalistica” – a patto che sia autentica – l’Ue dovrebbe investire.

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