Gli USA che trattano segretamente (negandolo ufficialmente) con l’Iran per un cessate il fuoco nella regione, Netanyahu che parla di attacchi ai siti militari iraniani e telefona a Biden, Hezbollah che sembra cambiare le condizioni per far tacere le armi in Libano. Il Medio Oriente è una polveriera e, mentre gli americani tentano di tenere sotto controllo la situazione per evitare problemi in vista delle elezioni presidenziali del 5 novembre, Israele, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, sembra non voler rinunciare alla rappresaglia contro Teheran dopo l’attacco dei missili iraniani, augurandosi di avere Trump come nuovo presidente per poi scatenare una vera guerra regionale.
Intanto, la Russia dà segnali di una presenza sempre più attenta agli sviluppi della guerra nell’area: le conviene che gli USA restino impegnati su questo fronte, distogliendo una parte delle risorse dall’Ucraina.
Times of Israel, riportando un servizio di Channel 12, sostiene che ci sarebbero trattative segrete fra USA, Iran e Paesi arabi per un cessate il fuoco su tutti i fronti. Il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha smentito il negoziato. Perché gli Stati Uniti cercherebbero di parlare con gli iraniani?
Di certo agli USA non conviene una guerra regionale a tutto campo a ridosso delle elezioni. Intanto, l’amministrazione Biden è una specie di estensione di quella di Obama (l’attuale presidente era il suo vice), protagonista del deal sul nucleare con l’Iran, che poi Trump ha stracciato. E comunque non è bello trovarsi sotto elezioni con il principale alleato in Medio Oriente in guerra. È verosimile che ci siano Paesi arabi coinvolti: Arabia Saudita e Iran avevano appena normalizzato i rapporti e l’ultima cosa che i sauditi vogliono nell’area sono tensioni con Israele. Non escludo, quindi, che ci siano trattative sottobanco: è una costante della politica americana. In occasione del famoso caso Iran-Contra, nel pieno delle tensioni fra Washington e Teheran, c’erano accordi sottobanco che comprendevano triangolazioni con Israele.
Il nuovo presidente iraniano, Pezeshkian, aveva fatto balenare la possibilità di tentare un nuovo accordo sul nucleare. Un’ipotesi che potrebbe rimanere in piedi?
Una guerra regionale con Israele non è neanche nell’interesse dell’Iran, che negli ultimi anni ha cercato il massimo risultato con il minore sforzo, ottenibile con negoziati che permettano di mantenere i vantaggi di un programma nucleare avanzato, senza subire i danni di una guerra, che potrebbero essere ingenti. Gli iraniani sono riusciti a raggiungere già una volta un accordo con gli Stati Uniti; se la prossima amministrazione non sarà quella di Trump, è probabile che ci riescano ancora. E non è escluso che tutto quello che sta succedendo nell’area sia una specie di politica del bastone e della carota, proprio per perseguire questo risultato e non quello della guerra.
Netanyahu ha bloccato il viaggio del suo ministro della Difesa, Gallant, negli USA, dove doveva discutere dell’attacco all’Iran dopo l’attacco missilistico su Israele e ha anche paventato la possibilità che questa risposta possa concretizzarsi in attacchi alle basi militari iraniane. Un modo per opporsi alle trattative sottobanco?
Credo che Israele non abbia mai digerito qualsiasi tipo di accordo o contrattazione tra gli Stati Uniti e l’Iran con in carica l’attuale regime iraniano. Quando è stata raggiunta l’intesa sul nucleare, non è che facesse i salti di gioia. Anzi, dal punto di vista di Tel Aviv, il regime degli ayatollah prende in giro tutti per mettere poi il mondo di fronte al fatto compiuto di avere la bomba atomica. Israele fremeva da sempre per andare in guerra con il supporto diretto di USA e Occidente contro l’Iran. Finora non ce l’ha fatta, ma non è escluso che, sulla scorta del 7 ottobre, usi il casus belli per trascinare l’Iran in un conflitto. In un certo senso, gli israeliani ci sono già riusciti, perché per la prima volta da quando gli ayatollah sono al potere, l’Iran ha attaccato ben due volte con ondate di missili e di droni.
Il vice leader di Hezbollah, Naim Qassem, avrebbe detto che Hezbollah è disposto a rinunciare alla richiesta di una tregua a Gaza come condizione per mettere fine ai combattimenti in Libano, cambiando la linea tenuta fin qui dal gruppo filo-iraniano. Come mai?
Hezbollah sta affrontando una crisi molto forte dopo che Israele ne ha liquidato l’intero organigramma. Ha un problema molto importante di leadership e di comunicazione dopo l’attacco ai cercapersone, che sta rendendo difficile ai superstiti vedersi e incontrarsi fra di loro.
Ha bisogno di tempo?
Sì, ma non è una manovra che Israele accetterà: non lo ha fatto con Hamas, che aveva 250 ostaggi. A meno che l’accordo con Hezbollah non sia veramente serio e non permetta alla popolazione sfollata dal Nord di Israele, quasi 65mila persone, di tornare a casa, lasciando che Israele possa vantare di aver ottenuto un risultato. Ma la vedo difficile, perché gli attacchi a Hezbollah sono funzionali a tirare il piede dell’Iran dentro il conflitto. Cosa che sta riuscendo. Non vedo perché Israele dovrebbe fermarsi.
La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zacharova, dice che Hezbollah non ha perso il controllo del Libano. Perché proprio la Russia si espone per dare queste rassicurazioni? Il Wall Street Journal parla anche del ritorno del più grosso commerciante di armi russo, Victor Bout, che avrebbe concluso un affare con gli Houthi. Mosca gioca un ruolo sempre più importante in Medio Oriente?
La Russia gioca un ruolo importante da anni, da quando gli USA hanno dato segnali ai Paesi dell’area che non volevano più occuparsi del Medio Oriente. E infatti i famosi accordi di Abramo sono in parte una sorta di delega data a Israele perché sia una specie di agente degli USA, fungendo da gendarme della regione e difendendo gli alleati del Golfo per conto degli americani, per lasciare che questi ultimi si concentrino sulla Cina. Che la Russia sia un alleato dell’Iran è ormai assodato; il fatto che questa alleanza si sia rafforzata dopo la guerra in Ucraina grazie alla fornitura di droni iraniani ai russi è altrettanto chiaro. Il rapporto si estende anche a tutte le propaggini dell’Iran nell’area.
Qual è l’obiettivo di Putin?
Mosca sa che la questione palestinese ha un forte impatto emotivo nel mondo arabo e, se vuole guadagnare oltre ai governi anche le opinioni pubbliche, non può che giocare questo ruolo, ancora di più in un momento in cui ha rotto ogni ponte con l’Occidente e con gli USA. Non sorprende che stia dando una mano all’Iran, anche perché questa situazione crea problemi all’Occidente, ma soprattutto facilita la Russia stessa. Il solo perdurare del conflitto, oltre che il suo allargamento, costringe gli Stati Uniti a muovere risorse dal fronte della guerra in Ucraina verso Israele, e questo per la Russia è una manna.
La telefonata di queste ore fra Biden e Netanyahu è stata definita “diretta e produttiva” ma il clima non deve essere stato dei più distesi. Si è parlato dell’attacco di Israele all’Iran: ci sarà prima delle elezioni presidenziali?
Israele ha una propria agenda che non necessariamente combacia con quella delle amministrazioni statunitensi: se riterrà opportuno rispondere a breve, lo farà. Se nei piani c’è l’escalation per avere una guerra regionale, si muoverà. Probabilmente aspetterà il risultato delle elezioni USA, una rispostina però potrebbe darla anche prima. Per la guerra vera e propria, invece, potrebbe aspettare che arrivi Trump al potere.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.