Daniela Stuto fu accusata dell’omicidio di Francesca Moretti, noto alle cronache come il “delitto della minestrina” perché la vittima, sociologa di 29 anni che con lei condivideva un appartamento nel quartiere San Lorenzo di Roma, secondo l’autopsia morì per avvelenamento da cianuro che le sarebbe stato somministrato in quella pietanza consumata il 22 febbraio 2000.
Assolta con formula piena per non aver commesso il fatto, Daniela Stuto subì una ingiusta detenzione e per questo sarebbe stata risarcita con 52mila euro, cifra molto inferiore alla sua richiesta (500mila) dopo la sentenza con cui fu sigillata la sua totale estraneità alla morte della coinquilina. Il caso di Francesca Moretti, tuttora irrisolto, è protagonista del programma Detectives – Casi risolti e irrisolti di Pino Rinaldi in onda su Rai 3, in seconda serata, domenica 13 ottobre.
Daniela Stuto assolta con formula piena per la morte di Francesca Moretti, l’autore del “delitto della minestrina” mai identificato
Per le terribili accuse ingiuste di cui fu destinataria, Daniela Stuto vide la sua vita di giovane studentessa di Psicologia annientata nel fiore degli anni e, a margine della definitiva assoluzione all’esito del processo per il “delitto della minestrina”, commentò tra le lacrime il suo calvario: “Ora è una ferita ricucita, ma la cicatrice non andrà mai via“. Non uccise lei la coinquilina 29enne Francesca Moretti a Roma, il 22 febbraio 2000, avvelenandola con una potente dose di cianuro sciolta nella minestra al formaggino preparata in quella casa di San Lorenzo. Nemmeno la famiglia della vittima avrebbe mai creduto al suo coinvolgimento e la giustizia le diede ragione dopo un’odissea lunga due anni.
Dopo l’arresto avvenuto nel 2001, Daniela trascorse un giorno in carcere e poi 1 anno e 4 mesi ai domiciliari. Si era sempre dichiarata innocente, dovette difendersi in tribunale per riuscire a dimostrarlo. Processata e assolta con formula piena in tutti i gradi di giudizio, chiese un risarcimento di 500mila euro per l’ingiusta detenzione, ma la Cassazione stabilì una somma nettamente inferiore, 52mila euro.
Risarcimento ridotto nonostante l’ingiusta detenzione
La Cassazione respinse la richiesta di risarcimento formulata dalla difesa di Daniela e le riconobbe 52mila euro per aver subito ingiustamente accuse e detenzione. A pesare nella decisione della Suprema Corte, che le negò i 500mila euro oggetto della sua istanza – secondo quanto ricostruito, fu il fatto che la donna trascorse un solo giorno in cella e fu poi destinata ai domiciliari.
“Sono rimasta agli arresti domiciliari, ma il fatto che io non sia stata in carcere non significa che sia stata una passeggiata. Devo esprimere la mia amarezza, dopo la perizia che mi scagionava non ci fu un cambiamento di rotta“. Daniela disse di aver atteso la sentenza quasi come “in apnea”, e la lettura del verdetto, “assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto“, mise la parola ‘fine’ al suo calvario ma non potè cancellare il gravissimo danno subito. “Non ho niente da festeggiare – affermò – perché mi hanno rubato un anno di vita e una festa non basta per farmelo restituire“. Ad oggi, l’assassino della sua amica e coinquilina Francesca Moretti non è stato individuato.