Ieri ricorreva la Giornata Nazionale dedicata alle vittime degli incidenti sul lavoro, che negli ultimi anni sono passati dai 554.340 del 2020, ai 555.236 del 2021 e ai 585.356 del 2023, mentre nei primi otto mesi del 2024 le denunce di infortunio presentate all’Inail hanno raggiunto un totale di 386.554, registrando un ulteriore aumento dello 0,9% rispetto allo stesso periodo del 2023. Si dà la colpa agli appalti e ai subappalti, alle misure di sicurezza non attuate dai datori di lavoro, alla problematica del lavoro nero. Nei giorni scorsi è entrata in vigore la “patente a punti” in materia di sicurezza. Abbiamo fatto il punto con il giuslavorista Cesare Pozzoli, che da anni segue il fenomeno.
Per sua esperienza, la piaga degli infortuni sul lavoro è dovuta solo alla mancata attivazione di misure di sicurezza da parte delle aziende e al sistema di gestione degli appalti o c’è dell’altro?
Sicuramente c’è un tema di cultura della sicurezza e di adozione di misure antinfortunistiche da parte delle aziende. I recenti inasprimenti di pena in materia di appalti e subappalti, l’aumento dell’organico dell’Ispettorato del Lavoro (D.L. 19/2024) e il sistema della patente a punti, entrato in vigore il 1° ottobre vanno sicuramente nella giusta direzione, anche se taluni osservatori hanno rilevato che talvolta gli adempimenti burocratici in capo alle aziende sono diventati opprimenti e non sempre efficaci. Ma tutto ciò temo non basti a fronteggiare in toto lo stillicidio degli infortuni.
In che senso?
I lavoratori e i sindacati, e financo la magistratura, sono chiamati a fare la loro parte “a tutto campo” per contrastare la piaga degli infortuni sul lavoro che – come ha ricordato il Presidente Mattarella – “è uno scandalo inaccettabile per un Paese civile, un fardello insopportabile per le nostre coscienze”.
Cosa dovrebbero fare i lavoratori?
I lavoratori sono i primi destinatari e titolari del bene della sicurezza, propria e dei propri colleghi, bene primario riconosciuto dalla Costituzione e dell’art. 2087 del Codice Civile: ma ciò significa che se vengono adeguatamente formati, se vengono dotati di adeguati dispositivi di sicurezza e se le aziende fanno quanto possibile per controllarne l’utilizzo, anche i lavoratori sono responsabili di possibili incidenti.
Intende dire che dietro al numero crescente di infortuni ci sono anche comportamenti negligenti dei lavoratori?
Purtroppo sì, almeno in alcuni casi vi sono condotte gravemente incaute dei lavoratori. Non lo dico soltanto io sulla base della mia esperienza professionale, lo dicono le statistiche. Stando ai dati Inail relativi agli infortuni nell’edilizia pubblicati nel 2022, l’errore di procedura pesa per oltre il 30%, l’uso errato delle attrezzature pesa per circa il 20% e anche l’uso errato o mancato dei presidi di sicurezza ha un’incidenza rilevante. Talvolta – per non dire spesso – gli infortuni sono causati anche da comportamenti incauti dei lavoratori.
In questi casi cosa possono fare le aziende?
Possono promuovere una cultura e una formazione sulla sicurezza a tutti i livelli come tutela della persona, ma anche della collettività e come primaria responsabilità sociale. E possono anche fare quanto possibile per controllare il rispetto da parte dei lavoratori delle norme di sicurezza. La giurisprudenza tende a ritenere responsabili i datori di lavoro nei casi di infortuni occorsi ai dipendenti anche per grave imprudenza degli stessi ovvero per comportamenti incauti, salvo che non dimostrino di avere fatto tutto il possibile per evitare l’evento e per fare utilizzare ai dipendenti i dispositivi di sicurezza (Cass. 20.9.2024 n. 25313). Ma proprio questo è il punto: occorre mettere i datori di lavoro nelle condizioni di esigere il rispetto e l’utilizzo effettivo dei sistemi di sicurezza da parte dei lavoratori, ove occorra utilizzando la leva disciplinare, anche se questo non è sempre agevole.
Perché?
Ci sono sentenze che talora hanno annullato le misure disciplinari comminate dalle aziende nei confronti dei lavoratori che non hanno rispettato gli obblighi di sicurezza. E se gli imprenditori pagano, e salatamente, in caso di controlli ispettivi, e rischiano la reclusione in caso di infortuni, con norme giustamente inasprite di recente, allora deve essere loro riconosciuta la facoltà di sanzionare eventuali inadempienze dei lavoratori.
Ci può fare qualche esempio?
Segnalo una sentenza del Tribunale di Venezia del 2023 che ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un lavoratore che si era rifiutato di indossare i dispositivi di protezione anche successivamente al richiamo ricevuto dal datore di lavoro. Anche il Tribunale di Ascoli Piceno con una sentenza del 2022 ha annullato il licenziamento del lavoratore per ripetute violazioni di disposizioni aziendali in tema di sicurezza. E persino una sentenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al dipendente, sia quando ometta di adottare le misure protettive sia quando, pur avendole adottate, non vigili affinché queste siano di fatto rispettate e financo a fronte di una condotta “anomala” del lavoratore stesso (Cass. 21.9.2021 n. 25597). Osservo che spesso le organizzazioni sindacali hanno sostenuto le tesi dei lavoratori.
Cosa dovrebbero fare i sindacati?
Non spetta a me dare consigli. Sicuramente le mobilitazioni generali sono importanti, ma forse si può fare di più. Per esempio, promuovendo una cultura reale e responsabile della sicurezza che implica un principio di responsabilità per cui anche i lavoratori, che i sindacati tutelano, devono fare la loro parte.
Può spiegarci meglio?
Noto che alcuni tra i principali contratti collettivi prevedono in caso di inosservanza delle misure di sicurezza da parte del lavoratore sanzioni minime o comunque inefficaci.
Per esempio?
Il Ccnl dell’Industria chimica prevede sanzioni solo conservative per il lavoratore che “non osservi le prescrizioni in materia di ambiente e sicurezza” o che “non sia disponibile a frequentare attività formativa in materia di sicurezza.” Anche il Ccnl Metalmeccanico delle piccole-medie imprese prevede soltanto la multa per “inosservanza delle misure di prevenzione degli infortuni e delle disposizioni a tale scopo emanate dall’azienda”. In un patto sociale per la sicurezza dei lavoratori anche i contratti collettivi dovrebbero fare di più.
Altri suggerimenti?
Sul fronte più propositivo, i sindacati potrebbero concordare con le aziende adeguati sistemi premiali a favore dei lavoratori che si impegnino fattivamente a sviluppare la sicurezza in azienda, affiancando e supportando la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Anche le nuove tecnologie e i sistemi di AI potrebbero essere efficacemente posti al servizio della prevenzione, della sicurezza e della vigilanza piuttosto che essere utilizzati per scopi meno nobili. Gli interventi per tutelare la sicurezza sul lavoro possono essere molteplici, senza imputare ideologicamente questo grave problema al fenomeno degli appalti e dei subappalti. Per concludere vorerei ricordare quanto detto recentemente dal Santo Padre in un discorso rivolto ai Membri dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro.
Prego.
“Non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni. Non possiamo accettare lo scarto della vita umana. Le morti e gli infortuni sono un tragico impoverimento sociale che riguarda tutti, non solo le imprese o le famiglie coinvolte. Non dobbiamo stancarci di imparare e reimparare l’arte del prenderci cura, in nome della comune umanità. La sicurezza, infatti, non è solo garantita da una buona legislazione, che va fatta rispettare, ma anche dalla capacità di vivere da fratelli e sorelle nei luoghi di lavoro. La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi!”.
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