Anche prima della visita del cardinale Zuppi a Mosca, su queste pagine avevo sottolineato l’importanza dell’opera della Santa Sede per lo scambio dei prigionieri e il rimpatrio dei bambini.
Vedendo quello che sta succedendo a Gaza e nel Libano, a parte altre considerazioni, mi è sorta una domanda: che sarà di questi bambini, di questi ragazzi sopravvissuti alla morte dei loro cari e dei loro amici? C’è chi dice che è preoccupato per una nuova ondata di immigrati. È molto probabile che questo accada.
Io però penso, innanzitutto, al futuro di questi giovani provati dalla guerra, privati dei loro affetti ed esposti ad un futuro che non è difficile immaginare che sarà molto problematico. Tra l’altro chi ama veramente la pace – non come frutto di una improbabile vittoria – sa bene che qualunque soluzione politica si possa o si debba trovare niente potrà cancellare il risentimento, il desiderio di vendetta di chi ha vissuto l’esperienza appena descritta.
Ricordo, quando sono stato in Ucraina l’estate scorsa, il racconto di alcune famiglie, una volta amiche anche fraterne di altre famiglie russe, a proposito di uno scambio di messaggi divenuti via via sempre più ingiuriosi dopo l’inizio della guerra. E mi ricordo la piccola K. Fuggire via da un parco per non ascoltare una canzone russa intonata da una ragazzina come lei. E pensare che K., quando era in Italia da me, sfollata da Kharkiv, parlava solo russo.
Se passiamo poi ad immaginare il futuro dei giovani di Gaza, quanti disperati, potenzialmente anche kamikaze, alimentati dalla propaganda dei superstiti di Hamas, possiamo aspettarci? Sì, perché il progetto dei terroristi e l’attuale strategia di Israele, basati sull’eliminazione sistematica degli avversari, che cosa possono generare se non una violenza inarrestabile?
In questa prospettiva, purtroppo, c’è anche il lasciar fare da parte nostra. Esponiamo i nostri poveri militari a rischi evidenti per una missione di pace che è improponibile nella situazione attuale.
Gli Stati Uniti “tirano le orecchie” a Netanyahu, ma continuano a fornirgli armi. Noi non diamo armi ma solo buoni consigli e severi avvertimenti. Le forze della sinistra hanno scelto di schierarsi, spesso senza riserve, con chi vorrebbe un futuro ben lontano dagli ideali storici della sinistra stessa. La destra da una parte è coinvolta in forme nostalgiche di un nuovo antisemitismo, ma non può certo godere della compagnia dei centri sociali.
Intanto i ragazzi scampati alla morte, a Gaza come a Bucha, sentono inevitabilmente crescere nel loro cuore un sempre maggiore risentimento, premessa della violenza. Forse anche oggi in Palestina, come si diceva ieri per il Donbass, è necessario un contingente di pace, fatto di persone capaci non solo di predicare ma di vivere il gesto supremo del perdono e della riconciliazione. Soprattutto per noi cristiani è una bella sfida. Ma se è vero che crediamo alla Resurrezione di Cristo, sappiamo che “nulla è impossibile a Dio”.
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