Il para-endorsement a Kamala Harris da parte di Jamie Dimon, Presidente e Ceo di JPMorganChase, è filtrato mentre l’indiscusso banchiere numero uno negli States è in tour nel continente africano. Il suo programma prevede tappe in Nigeria e Sudafrica, dove il colosso statunitense è già presente; e poi in Kenya e Costa d’Avorio: dove JPMorganChase ha chiesto di poter stabilire basi operative, anche se prevedibilmente all’inizio senza licenza bancaria piena. Un’iniziativa, quella di Dimon, che ha fatto subito accendere parecchi riflettori mediatici: non da ultimo perché calendarizzata in pieno conto alla rovescia verso il voto presidenziale Usa. Tanto che l’appoggio informale alla candidata dem – sulle colonne del democraticissimo New York Times – non è giunta affatto a sorpresa.
Il Ceo di JPMorganChase è stato più volte in passato al centro di voci di possibile candidatura alla Casa Bianca in tutt’e due i grandi campi politici d’Oltreoceano. Più in quello “dem”: soprattutto dopo che JPMorganChase è stata decisiva nel salvare First Republic, una delle banche statunitensi crollate nel 2023 per il brusco rialzo anti-inflazionistico dei tassi deciso dalla Fed. Ma a Dimon era stato ventilato un top post a Washington (segretario al Tesoro o segretario di Stato) anche da Donald Trump, perfetto conoscitore dell’establishment finanziario di Manhattan.
Nel 2016 era forse troppo presto per il banchiere per lasciare Wall Street. Là Dimon (figlio di immigrati greci) si è definitivamente affermato come grande sopravvissuto vincente del great crash del 2008 (non evitato e poi gestito con fatica, al Tesoro, dall’ex Presidente di Goldman Sachs, Hank Paulson). La JPMorgan era stata allora decisiva nel salvare la Chase Manhattan Bank, integrandola per dar vita al primo gruppo bancario globale con passaporto Usa. Da quella svolta Dimon è diventato il “primo banchiere d’America” mano a mano che il mito della Goldman Sachs si è invece appannato: nei conti e nella reputazione. Lunghi anni di tassi zero prima e poi due anni di super-tassi hanno d’altronde consentito alla JPMorgan Chase una redditività importante e costante e un consolidamento strategico sia nella finanza di mercato che nell’attività di servizio per famiglie e imprese.
Nel frattempo per il banchiere 68enne si sta avvicinando l’ora dell’addio al “trono” di JPMorgan: i limiti d’età per gli incarichi operativi sono infrangibili anche per il “super-eroi” della Corporate America. Ecco perché il tour africano di Dimon ha fatto ripartire un gossip d’alto livello: riguardante nuove possibili proposte di entrare nella prossima Amministrazione Usa, chiunque vincesse il 5 novembre (ma soprattutto se a spuntarla fosse Kamala Harris). E come meglio candidarsi se non con un viaggio “geopolitico”, illuminato dalle prime pagine dei grandi media?
L’Africa è una grande area strategica in cui gli Usa devono recuperare terreno in tutte le dimensioni: finanziarie e geopolitiche. E’ un “territorio globale” in cui anzitutto la Cina è entrata in azione subito all’inizio dell’era delle modernizzazioni: investendo molto (anche nei debiti pubblici degli stati post-coloniali), ed “esportando” decine di migliaia di funzionari di una peculiare diplomazia d’impresa. Ma oggi il continente nero – protagonista di storie di successo in alcuni paesi – è campo privilegiato anche di scorribande russe (con quella sorta di multinazionale che è la Brigata Wagner) e di forti infiltrazioni islamiche. Mentre l’ultima grande potenza coloniale europea – la Francia – è in ritirata, qualche volta in rotta. A Washington serve un super-ministro dotato di tutte le competenze per confrontarsi con un Mondo Nuovo?
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