Gli orfani di una felicità che sfugge

La cronaca ci offre continui casi di violenza che riguardano i giovani. Un qualcosa di inedito e che ha cause specifiche

Walter Veltroni, sul Corriere della Sera, si è recentemente interrogato sulla scia di violenza e di rancore che caratterizza questo tratto della storia occidentale e che coinvolge, in forme e misure diverse, soprattutto giovani di latitudini e longitudini opposte che si trasformano in barbari assassini, privi di empatia e di pietà.



Lo ha fatto certamente con profondità, indagando il fenomeno e indicando alcune cause per lui inaccettabili: non si può dire – ad esempio – che tutto questo “sia sempre successo” perché il dato statistico degli ultimi quindici anni è impressionante e imparagonabile con il medesimo dato del cinquantennio precedente; non si può dire – sempre secondo Veltroni – che sia colpa del Covid, esperienza durissima in termini di morti e ansia prodotta, ma insufficiente a spiegare una carneficina irrazionale e reiterata nel tempo. Non si può dire, infine, che siamo dinnanzi a un danno collaterale della rivoluzione digitale, frutto dell’avvento degli smartphone e di un’esperienza di rapporto con il mondo che non permette più la gradualità di un tempo, esponendo il ragazzo o la ragazza a una massiccia dose di violenza e orrore che niente sembra più in grado di fermare. Veltroni lascia intendere che il problema stia dunque a metà strada, che i genitori siano troppo distratti da sé stessi per coglierlo fino in fondo, ma che certamente non si può negare che esista. È, insomma, un articolo di denuncia, animato da un sincero desiderio di ascoltare quel grido che viene dai ragazzi e che oggi appare ignorato anche – e non solo – perché gli adolescenti, di cui tanti parlano, in fondo non votano.



Il punto è che Veltroni non riesce ad andare oltre, a capire che cosa ci sia davvero in gioco e che cosa sia accaduto negli ultimi vent’anni. Domande complicate, ma che è possibile contestualizzare sia secondo una prospettiva più ideale, sia secondo un orizzonte più feriale e quotidiano, entrambi capaci di dipingere quel quadro di fondo necessario per tentare una sincera risposta.

La prospettiva ideale, in primis, è tanto drammatica quanto semplice: la fine della cristianità occidentale ha portato via dall’educazione e dalle coscienze non tanto “Dio”, quanto un approccio alla realtà che fungeva da vaccino e da cura a tutto il male che ci può essere nel cuore. Eliminando Dio, gli amici di Veltroni non si sono resi conto di aver eliminato l’umano. Chiaramente era un umano imperfetto, stigmatizzabile e “sporco”, ma cercando le “mani pulite” e le libertà assolute, questo Paese ha progressivamente estirpato i legami sociali che tengono in piedi una società, nell’illusione che più diritti significasse più felicità.



Lo vediamo anche ai nostri giorni; è questa la menzogna sulla quale si sta costruendo l’elettorato di domani e che, entro dieci anni, sarà maggioritario su tutte le questioni etiche e di coscienza: che esista un rapporto profondo fra diritti e felicità. Al contrario, esiste un rapporto profondo tra sacrificio e felicità. La caduta del cristianesimo porta con sé la caduta del sacrificio, del senso del cammino, della percezione del reale come promessa e del tempo come luogo dove abitare con pazienza e dedizione nell’attesa che il bene desiderato si compia.

È la concezione del tempo, diceva don Giussani, la prima grande conseguenza del cristianesimo nella storia: l’uomo non abita più sull’orlo di un baratro, ma dentro un abbraccio in cui – istante dopo istante – è felice perché conosce di più sé, perché prende sempre di più familiarità con il proprio umano.

L’orizzonte feriale e quotidiano si traduce in alcune piccole osservazioni che calano nella realtà il contesto di assenza di ideali in cui ci troviamo. Educare oggi, invece che un’introduzione al destino di ciascuno, è diventato accompagnare i comportamenti individuali a una morale collettiva che è priva di ragione, lasciando sul campo conoscenze da macinare, competenze da coltivare e capacità da sviluppare. Eppure, nessuno sa perché fare tutto questo, tutto diventa un investimento sul futuro che non ha alcuna legittimità nel presente: studia, ragazzo, e togliti il gusto del pomeriggio perché domani sarai felice; comportati bene, sii civico, ragazzo, perché un domani sarai un ottimo cittadino.

In realtà si muore, cari professori. In realtà si muore, cari genitori. E vivere per essere felici domani, senza che il tempo di oggi diventi spazio di speranza, lascia i ragazzi più soli, quasi come oggetti da misurare con mille sistemi di valutazione, ma con nessuno sguardo. La scuola di oggi crede che le riforme stiano nei soldi e nelle strutture, mentre la vera riforma è un rapporto, un’amicizia più grande dell’orrore che può compiere l’altro, un’amicizia stracolma di perdono.

Veltroni cerca una ragione alla violenza del nostro tempo. Il punto è che lui, e tanti suoi amici, hanno pensato bene di spostare la capitale morale della storia. Ci hanno fatti trasferire in massa da Nazareth a Tubinga. E adesso si lamentano che, nell’austera Germania, di notte faccia molto più freddo.

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