Il richiamo del presidente Mattarella alla necessità della collaborazione istituzionale, alla mediazione ed alla sintesi è di per sé indice della febbre che ha preso le istituzioni. Dal Quirinale fanno sapere che l’appello di Bari muove in primo luogo dallo stallo di undici mesi sulla nomina di un giudice costituzionale che manca, ma non negano che le parole del Capo dello Stato sia ad ampio spettro.
Perché quello del quindicesimo componente del collegio della Consulta non è il solo fronte aperto fra maggioranza e opposizione. Soprattutto non è il più importante, né il più delicato. Il cuore dello scontro è intorno ai migranti: Meloni contro i giudici che hanno messo in discussione l’operazione Albania, con l’opposizione che si spella le mani rispetto alle sentenze che al momento rendono di fatto impossibile l’utilizzo delle strutture costruite sull’altra sponda dell’Adriatico.
È uno scontro totale, con la premier che rende nota la mail di un magistrato che la definisce “più pericolosa di Berlusconi”, e l’Anm che parla di “interpretazioni maliziose” delle parole del proprio associato. Incomunicabilità assoluta, muro contro muro, dito puntato anche contro il ministro della Giustizia Nordio per la sua accusa agli ex colleghi di aver esondato dal loro ruolo.
Un clima che senza dubbio preoccupa sempre più il Quirinale, e un problema apparentemente senza via d’uscita, almeno nell’immediato. Non c’è dubbio che dietro l’operazione Albania vi siano anche errori da parte di Palazzo Chigi, dal momento che i testi legislativi si sono rivelati così vulnerabili da essere censurati sin dalla primissima applicazione. Ecco perché un Consiglio dei ministri convocato d’urgenza dalla premier per oggi pomeriggio potrebbe non bastare. Dovrebbe partorire un decreto legge teso a toccare i due aspetti più delicati finiti nel mirino dei giudici: da una parte rendere norma primaria l’elenco dei Paesi “sicuri” e dall’altra spostare alle corti d’appello i ricorsi contro le decisioni sul trattenimento nei Cpr.
Basterà? Si capirà solo nei prossimi giorni. Perché la partita è decisiva, tanto per Meloni, quanto per chi le si oppone. Per la leader del centrodestra c’è in gioco una buona fetta della propria credibilità, su uno dei temi che più caratterizzano la coalizione di governo. Uno dei più popolari, inutile negarlo, un elemento che le opposizioni farebbero bene a tenere in maggiore considerazione, perché difficilmente su questo tema si eroderà il consenso del centrodestra, con annesso il tema dei rapporti politica-magistratura.
Ecco perché per l’opposizione far saltare il progetto Albania costituirebbe una grande vittoria politica, con relative minacce di denuncia alla Corte dei Conti per gli 800 milioni investiti in una soluzione su cui sono gli occhi di mezzo mondo. Per ragioni diverse, naturalmente. All’elogio esplicito di Ursula von der Leyen e all’interesse di Paesi come Germania, Olanda, Danimarca (e Gran Bretagna fuori dalla Ue), fa da contraltare la diffidenza di Francia e Spagna. Tutti a vedere come va a finire, per capire se la via italiana può essere seguita oppure no. Arbitra, probabilmente, la Corte di Giustizia europea, cui si sono rifatti i giudici italiani che non hanno convalidato il trattenimento dei migranti dentro il Cpr in terra albanese. A essa vuole rivolgersi l’opposizione italiana, ma probabilmente non ce ne sarà bisogno: saranno i ricorsi nella battaglia legale fra governo e migranti ad arrivarci, e pure in tempi abbastanza ristretti.
È di tutta evidenza, quindi, come la partita che Meloni sta giocando travalichi i confini nazionali. La partita è quantomeno europea. Perché qualora la via intrapresa dal governo italiano dovesse risultare impraticabile in quanto in contrasto con i principi fondativi dell’Unione, allora sarebbe l’intera politica migratoria UE a dover essere riscritta. Impresa titanica, in un contesto in cui non si riesce a muovere un passo dagli anacronistici principi stabiliti a Dublino un quarto di secolo fa, secondo cui tutto il peso delle ondate migratorie ricade sulle spalle dei Paesi di primo approdo. Anche per von der Leyen sarebbe un problema politico di prima grandezza. Ecco perché la battaglia di Meloni è molto impegnativa, anche più di quanto non sembri.
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