Un’Italia per grandi linee in buona salute – soprattutto se confrontata con i principali partner europei -, ma minata dalla preoccupazione di non fare più figli con una media per donna pari a 1,20 che presto ci porterà a essere tra i Paesi più vecchi del mondo. E senza giovani, si sa, è difficile affrontare il futuro. Ed è un peccato perché siamo in partita nonostante le grandi difficoltà di manovra che denunciano da sempre gli imprenditori: burocrazia lenta e farraginosa, giustizia invadente e superficiale, scarso dinamismo del sistema bancario-finanziario, rigidità del mercato del lavoro, inadeguatezza della macchina formativa.
È il quadro che emerge dall’ultimo Rapporto di previsione dell’autunno 2024 presentato in Parlamento dal Centro studi di Confindustria che combina proprie proiezioni con i dati delle principali centrali statistiche (vedi Istat) per restituire un’immagine quanto più nitida possibile di dove siamo e di dove potremmo andare.
Centrale nell’indagine è la capacità mai sopita di un ceto industriale caratterizzato dalla presenza di piccole e medie imprese molto spesso a sfondo familiare con grande tradizione alle spalle o di nuova generazione in grado di sormontare gli ostacoli e presentarsi nonostante tutto competitive in ogni angolo del mondo.
Non a caso il principale motore dell’economia nazionale resta quell’export che sembrava minato dal rallentamento delle destinazioni classiche europee (soprattutto Germania) e della Cina e che invece ha saputo scalare nuove posizioni con l’aumento delle aziende coinvolte nel processo e la conquista di altre piazze.
Qualche preoccupazione desta la frenata degli investimenti nonostante il propulsore del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) che ci vede tra i principali attori dell’Unione, ma che ancora non riesce a imprimere la spinta necessaria a decollare dopo il calo dell’attività edilizia dovuta all’esaurirsi dell’effetto (drogato) del Superbonus.
Fondamentale, in questo campo, la capacità del settore statale di creare le condizioni per un ritorno su grande scala del capitale privato che, solo, potrà contribuire a raggiungere il livello di spesa necessario a tenere acceso il reattore della crescita indispensabile a far scendere il rapporto con il Pil e comprimere il debito pubblico.
Molto dipenderà dall’impatto che avrà il programma chiamato Transizione 5.0 che ha l’ambizione di combinare tra loro gli incentivi per le innovazioni nei campi strategici del digitale e dell’ambiente in attesa dei quali si sono evidentemente fermati gli acquisti di macchinari e degli altri prodotti connessi all’aspettativa.
Tengono i servizi e cede anche se di poco la domanda come effetto dell’assottigliarsi della capacità di spesa delle famiglie dovuta all’erosione dell’inflazione e a una dinamica dei salari alla quale si cerca di porre rimedio con il taglio del cuneo fiscale mantenuto in manovra di bilancio come fiore all’occhiello di questo Governo.
Cresce l’occupazione in generale, ma diminuiscono le ore lavorate per addetto, il che dimostra che l’incremento è dovuto in gran parte a soluzioni povere che sono alla base dell’ancora scarso coinvolgimento delle nuove generazioni che come e quando possono cercano altrove la soddisfazione delle proprie ambizioni.
Tutto questo all’interno di un quadro globale che porta preoccupazioni specialmente per il conflitto nel cuore del Mediterraneo dove si appuntano molte delle speranze di protagonismo dell’Italia e del Mezzogiorno, amplificate dall’adozione del Piano Mattei come metodo inclusivo per lo scambio e la collaborazione.
Insomma, come sempre spicca un disegno in chiaroscuro dove emergono le forti potenzialità di un Paese abituato a farsi rispettare per la sua industriosità e allo stesso tempo non sufficientemente determinato a sconfiggere i propri demoni, anche per l’abitudine della politica a non puntare su obiettivi condivisi a beneficio della collettività.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.