Due notizie in apparenza separate, ma in realtà intimamente connesse fanno molto riflettere sulla tenuta morale di un pezzo importante di quello che dovrebbe essere il ceto dirigente della città di Napoli dove, com’è ormai risaputo, nascono e fermentano i fenomeni belli e brutti che poi si diffondono per il Paese.
Si tratta dell’altra faccia della luna, il lato oscuro che a occhio nudo non si vede o si fatica a farlo e che tuttavia influenza in modo pesante le sorti di una metropoli sempre in bilico tra passato e futuro, con le ombre sempre pronte a oscurare le luci che pure si accendono come in questo particolare momento storico.
Se è vero che molti giovani si stanno facendo onore con riconoscimenti al loro impegno anche internazionali è purtroppo ancor più vero che una gran massa di minorenni o appena maggiorenni scarica il proprio malessere in azioni criminali, devastanti, pericolose per gli altri e per sé macchiando la reputazione di un’intera comunità.
Il Cardinale di Napoli don Mimmo Battaglia lo ha detto chiaro e tondo nell’omelia per i funerali – tra l’altro molto partecipati – di un ragazzo quindicenne ammazzato da un proiettile vagante, ultima vittima in ordine di tempo di una “violenza che spezza vite innocenti e lascia intere famiglie nel dolore e nella disperazione”. Basta armi, è stato il monito del vescovo che ha ripreso un tema caro al suo predecessore Crescenzio Sepe che ai temi del disagio di una gioventù dedita a bruciare il proprio futuro ha dedicato gran parte del suo mandato di pastore cercando di costruire vie di fuga per corpi e anime incapaci di badare alla propria salvezza.
Il filo conduttore nella missione dei due prelati sta nella chiamata in causa dei grandi, degli anziani, genitori e in senso largo educatori, di cui con sempre più preoccupazione si avverte la mancanza. È la latitanza del loro impegno a farsi sentire forte nell’esistenza di chi invece avrebbe bisogno di cura e guida.
Una chiamata alla responsabilità che funziona nel breve spazio della commozione per l’ennesimo esecrabile episodio di disperazione. Poi tutto torna come prima nel disinteresse quasi generale tanto larga si è fatta l’area in cui si agitano le bande che si fronteggiano al solo scopo di sentirsi vive e realizzate in qualcosa.
D’altra parte se è vera l’altra informazione di cui si nutre questa rubrica – di professionisti che per aggiustare le loro cose si sarebbero rivolti al boss di zona nella centrale e ricca Mergellina – sarebbe come entrare nella sceneggiatura del famoso “Sindaco del Rione Sanità” scritta dall’immortale Eduardo De Filippo.
Non è la prima volta che la realtà s’incarica di copiare la fantasia (e qualche volta la supera pure), ma questo caso è davvero strano, avvolto in una specificità tutta sua, perché ad agire non sono poveri cristi che non saprebbero a quale santo votarsi per avere soddisfazione bensì esponenti della “migliore” borghesia.
Che tipo di cortocircuito si è venuto a creare tra gente “perbene” e sistema giudiziario? La sfiducia di poter vedere accolte le proprie ragioni in tribunale è così forte da preferire affidarsi al verdetto veloce e inappellabile di un capo cosca piuttosto che sfidare l’incertezza e le lungaggini delle procedure legali?
Troppe slabbrature impediscono che si saldi il tessuto che dovrebbe tenere unita una collettività che manca così di vocazione corale, dove ciascuno ricerca individualmente la soluzione ai propri problemi anche usando scorciatoie poco edificanti e l’esempio dei maggiorenti è troppe volte deleterio.
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