Ci sono luoghi e realtà di un altro mondo in mezzo a noi nei quali il trascorrere del tempo appartiene ad un’altra dimensione: sono in questo mondo, ma non di questo mondo.
No, non stiamo parlando di X File o UFO e mi perdonerà T.S. Elliot se prendo a prestito, con qualche libertà, una sua famosissima frase.
Di solito si parte per un viaggio con una meta, avendo una meta, un obiettivo che si desidera raggiungere e gustare, magari perché lo hai sognato e voluto tanto quel viaggio. Sei soddisfatto anche solo dell’andare in sé, tanto sei contento dei tuoi compagni di avventura, soprattutto se da tempo era inseguito, quel viaggio di famiglia con figli giovani adulti. Difficile che si ripeta come è naturale che sia.
A Roma, ammettiamolo, si va sempre molto volentieri, se poi non sei al seguito di migliaia di pellegrini ancora di più. Basta uno sguardo al Cupolone dall’Aventino, una cacio e pepe e un’ape ai tavolini e già valgono il viaggio e il traffico romano, ancora di più se c’è una persona ad attenderti.
I suoi occhi azzurri, come il saio che porta, lo sguardo dolce pennellato di gentile ironia ci accolgono nel convento sulle colline romane della Fraternità Francescana di Betania. L’accoglienza e la preghiera, insieme alla vita fraterna come sorelle e fratelli, è la loro regola. Com’ è “strana” la vita, frequentazioni diciamo casuali e recenti, è come se fossero state “da sempre” per l’intensità e profondità che comunicano. Da giovane insegnante alla povertà francescana: due abiti, i libri, due statuette (la Madonna e San Giuseppe), poche cose da portare quando ogni tre anni vai in altra sede conventuale, ma tanta ricchezza nel cuore. Momenti di letizia e dialogo scandiscono la cena della comunità nel refettorio e le prime ombre della sera ci accompagnano alla Compieta.
È breve il viaggio da Roma fino al Monastero delle Trappiste di Nostra Signora di San Giuseppe a Vitorchiano, silenzioso come possono essere quegli orari mattutini o quei ricordi che si annodano nella memoria cullati dal rollio del pulmino.
Nel parlatorio ci raggiunge suor Annalisa. Era la giovane maestra elementare di Michele. Poi l’entrata in clausura. Vent’anni fa.
Ci guarda ed è come se ci prendesse in sé, con sé. Il suo sorriso radioso investe tutto di noi, fino all’abbraccio a quel “bambino” riconosciuto dietro la barba adulta, quegli abbracci profumati di Eterno che solo donne così, amanti dello Sposo, possono dare.
Ci si racconta della vita, degli studi e del lavoro, degli amici e dei legami, insomma di tutto quello che può essere accaduto nella vita di una persona in vent’anni, comprese le delusioni e le aspirazioni…
Il suo racconto è scarno, ma profondo, come può essere il susseguirsi delle giornate e degli anni scanditi dalle ore della clausura fatte di silenzio, lavoro e preghiera insieme alle sue settanta sorelle. Non servono troppe parole, tutto di lei è rivelatore di un Amore profondo.
È bello il paesaggio che si attraversa andando verso Urbino, praticamente attraversiamo il Centro Italia. Un pensiero si affaccia alla mente: invece che il tour delle sette chiese a Bologna sta diventando il tour delle tre suore? Perché a questo punto non poteva mancare “l’improvvisata” all’amica della moglie entrata in clausura dalle Clarisse del monastero di Santa Chiara.
Angela, psicologa, laureata a Padova in quegli anni 70 di terrorismo, di Autonomia Operaia, di occupazioni, quella sede universitaria del libretto Spara ragazzo spara, degli insegnanti tipo Toni Negri. Suor Angela ci apre la porta di quel monastero che da 40 anni è la sua casa e che dal 1400 sorge appena fuori le mura di Urbino.
Due vite parallele, Teresa ed Angela: figli, lavoro, affetti e silenzio, preghiera, distacco.
Occhi a me vicini si riempiono di commozione nell’abbraccio che in un attimo fonde 40 anni di lontananza, come se le due vite parallele – il mondo fuori ed il mondo dentro – fossero unite come espressioni della stessa medaglia.
“Nei monasteri c’è sempre qualcuno che ti aspetta e accoglie” ci dice salutandoci al suonare della campanella che avvisa del vespro.
Doveva essere solo un viaggio di piacere invece è stato un viaggio nella profondità di quella realtà apparentemente parallela al nostro mondo fatta di silenzio, povertà, condivisione fraterna, adorazione, nella quale il trascorrere del tempo e delle stagioni è come se avvicinasse sempre più l’Eterno, un Eterno talmente presenza che modella l’umano, lo rende splendente di luce riflessa facendone emergere il vero. Tre donne, compiutamente donne.
Però, un’ultima questione rimane aperta, piccola piccola, banale se volete, un poco laica: qual è l’elisir di giovinezza che usano queste suore? Quale magica crema? Possibile che neanche una ruga le attraversi il volto? Mah, saperlo…
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