Tempo di soluzioni sia ambientali sia energetiche, correlate. Molta ricerca in economia è in attesa di dati più chiari dalle scienze fisiche al riguardo del cambiamento climatico per definire il problema e le possibili soluzioni con i loro costi. Non solo. Al netto del cambiamento climatico, la ricerca dedicata alla relazione tra economia ed energia sta rilevando la tendenza verso un raddoppio del fabbisogno, per esempio nuovi centri di calcolo super-energivori.
Il mio gruppo di ricerca sta inserendo negli scenari di fabbisogno energetico anche un fattore addizionale dovuto ai consumi energetici di eventuali – ma stimate necessarie – politiche di ecoadattamento: aumento della microclimatizzazione, di desalinizzatori, di barriere attive contro l’aumento del livello del mare, di grandi lavori di terraformazione selettiva in aree vulnerabili a fenomeni estremi, ecc. La stima prevede un incremento del fabbisogno energetico come non solo raddoppio, circa, entro l’orizzonte 2040.
Perché il 2040? Il motivo tecnico è che per un arco temporale di 15 anni è possibile vedere alcuni indizi rilevanti delle tendenze già nel presente e quindi avviare calcoli probabilistici e/o simulazioni “what if “(cosa fare se). Tale analisi, di tipo sistemico e non settoriale, vede una relazione tra produzione di energia ed ecoadattamento finora sottovalutata per la dominanza della decarbonizzazione.
Nel mio gruppo di ricerca abbiamo dovuto prendere una decisione in condizioni di ambiguità: dobbiamo credere alla soluzione decarbonizzante oppure produrre strategie ecoadattive basate sul fallimento applicativo della decarbonizzazione? I dati disponibili mostrano che solo nell’Ue si fanno vere norme decarbonizzanti – pur l’uso del carbone in Germania e altrove ancora massivo – mentre nel resto del mondo per niente o poco o per finta oppure con orizzonte verso il 2070 (Cina). Motivo? L’Ue ha calcolato male l’impatto di un’eccessiva pressione decarbonizzante limitativa sul sistema industriale europeo, contribuendo a metterlo in crisi, per esempio l’auto: pertanto una missione chiave economica è quella di far riconvergere sostenibilità ambientale ed economica. Poi abbiamo valutato gli argomenti di chi nega il cambiamento climatico oppure nega che la CO2 e altri gas siano la causa del riscaldamento stesso. Bel problema per non-fisici, aggravato dalle discordie interne a quelle scienze. Ma abbiamo dovuto decidere.
Come? Siamo andati alla ricerca di dati essenziali oggettivi e ne abbiamo trovati due: a) dati Nasa che mostrano l’aumento delle temperature nel pianeta; b) l’aumento di intensità – non necessariamente delle frequenze – di fenomeni alluvionali (dato visibile a tutti) perché mari più caldi danno più energia al ciclo atmosferico. Pertanto abbiamo preso una strategia di soluzione che sconta un cambiamento climatico non arrestabile dalla decarbonizzazione (pur non abbandonandola, ma gradualizzandola) e non negabile.
L’ipotesi preliminare di lavoro per la ricerca di soluzioni ha definito l’obiettivo di 2,4 volte in relazione al presente la probabilità del fabbisogno di energia nell’area del G7 entro il 2040. E a costi sostenibili. Entro questo quadro abbiamo iniziato a scenarizzare il sistema italiano con un occhio a quello europeo e al fatto che in Italia oggi il costo dell’energia è circa il doppio di quello di nazioni industriali concorrenti. E abbiamo ottenuto la seguente matrice di fonti energetiche: al primo posto una più rapida diffusione delle minicentrali nucleari di quarta generazione a sicurezza intrinseca che possono riutilizzare materiali radioattivi messi nei depositi di rifiuti. Per la scala si pensi, per esempio solo indicativo, al reattore nucleare di un sottomarino, evidentemente molto piccolo e molto potente. Al secondo posto ci potrebbe essere l’idrogeno, che può essere mescolato con il gas oggi veicolato in tubature esistenti per circa il 20-25% e conservato in forma di ammoniaca (peraltro possibile base per fertilizzanti) o simile. Ma stiamo aspettando dati dalla sperimentazione di tecnologie a costi minori. Poi? Ci sono le tecnologie intermittenti, o efficienti solo in alcuni luoghi: solare, eolico e geotermico. Poi ci sono fonti continue, ma localizzate, come l’idroelettrico (con molto peso in Italia).
Risultato? Ci serve tutto dove è efficiente. Priorità per l’obiettivo? Il mini-nucleare, in attesa delle centrali a fusione dopo il 2040. Resta un tema centrale: cosa fare di petrolio e gas? Se vogliamo armonizzare sostenibilità ambientale ed economica nell’Ue e in Italia, da un lato, dobbiamo rallentare il loro abbandono togliendo il divieto del 2035, ma da un altro dobbiamo accelerarne la sostituzione non tanto o solo per un motivo ambientale, ma per ridurre la dipendenza geopolitica da fornitori extra-Ue che comporta un rischio elevato di costo. Questa, pur grezza, è una bozza di soluzione strategica.
E per la parte eco oltre a ottenere energia abbondante a costi ridotti rispetto a oggi? L’Italia appare particolarmente vulnerabile a meteo estremi. Per il calore eccessivo (e anche per possibili ondate inverse) va estesa la microclimatizzazione delle abitazioni, dei luoghi di lavoro e anche per passare a più colture agricole in serra temperata, con aumento verticale dei consumi elettrici. Per i periodi di siccità vanno aumentati – molto – i desalinizzatori. Non abbiamo ancora una chiara idea dell’energia richiesta per la terraformazione e per barriere attive, ma sarà un più.
Il Governo? Sta muovendosi verso una direzione come quella detta per l’energia. Bene. Ma dovrebbe aggiungere una strategia ecoadattiva correlata. Resta il problema del consenso, oggi viziato da visioni eco-illusorie che dovrebbero essere corrette dal realismo.
www.carlopelanda.com
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