La dottrina sociale, via della Chiesa per andare incontro all’uomo: probabilmente è questa la sintesi dell’azione diplomatica e pastorale del cardinale Renato Raffaele Martino (1932-2024), deceduto il 28 ottobre scorso. Non è questa la sede per ripercorrere compiutamente l’opera che egli ha svolto per la giustizia e la pace nel mondo. Tuttavia, qualche cenno in riferimento alla promozione e diffusione della dottrina sociale è doveroso. A lui, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Giovanni Paolo II affidò il compito di guidare i lavori di redazione del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, per “sostenere e spronare”, come ha evidenziato l’arcivescovo di Salerno mons. Andrea Bellandi, “l’azione dei cristiani in campo sociale, specialmente dei fedeli laici, dei quali questo ambito è proprio; tutta la loro vita deve qualificarsi come una feconda opera evangelizzatrice”. L’elaborazione iniziale del testo fu a cura del card. Van Thuan: “Quest’opera a me affidata … porta il sigillo di un grande testimone della Croce, forte nella fede negli anni bui e terribili del Vietnam”.
Per lunghi anni, la dottrina sociale era stata deposta nel dimenticatoio dal “partito trasversale intellettuale al potere”, ritenendola insufficiente ad interpretare adeguatamente il dramma dell’uomo nella storia; perciò superflua rispetto all’ideologia imperante. Il cardinale coordinò anche il gruppo di esperti che lavorò alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, sottolineando nella conferenza di presentazione la riflessione che l’enciclica sviluppa sulla tecnica, le cui “possibilità di intervento nella stessa identità della persona si sono purtroppo sposate con un riduzionismo delle possibilità conoscitive della ragione, su cui Benedetto XVI sta impostando da tempo un lungo insegnamento”.
In qualità di osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, fu artefice della presentazione del testo di don Luigi Giussani Il senso religioso al Palazzo di vetro dell’Onu di New York, nel 1997. Di fronte a ciò che accadde, grazie a quell’incontro, don Giussani parlò di “un nuovo inizio” per tutto il movimento di Comunione e Liberazione. La dimensione religiosa della cultura sarà uno dei punti cardini del Compendio: “I cristiani devono prodigarsi per dar piena valorizzazione alla dimensione religiosa della cultura; tale compito è molto importante e urgente per la qualità della vita umana, a livello individuale e sociale. La domanda che proviene dal mistero della vita e rimanda al mistero più grande, quello di Dio, infatti, sta al centro di ogni cultura; quando la si elimina, si corrompono la cultura e la vita morale delle Nazioni” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Vaticana Editrice, cap. XII par. 559, p. 304).
A Salerno, la sua città, nel 2004, tenne la relazione su un altro testo giussaniano: Perché la Chiesa, in dialogo con Carmine Di Martino. La Chiesa germoglio dell’umanità nuova, compagnia di Cristo all’uomo, generatrice di pace e di oikumène, ecumenismo: uno sguardo nuovo, vertice di una posizione culturale autentica, che incontra e valorizza ogni frammento di verità presente nella vita delle persone. Il card. Martino apprezzava l’insegnamento e il metodo di don Giussani come contributo originale al rilancio della dottrina sociale, ricomponendo nell’esperienza del soggetto il dualismo teorico e pratico tra fede e ragione, tra fede e vita. L’esperienza cristiana, compiendo l’umano nell’uomo, è fattore di costruzione sociale, rendendo più libera e vera l’esistenza degli uomini nelle alterne vicende storiche.
Molti sono stati gli incontri con le comunità locali nel territorio salernitano in cui Martino ricordava, con particolare ammirazione e commozione, la storia della grande emigrazione: ne sottolineava la drammatica avventura, le aspirazioni, le realizzazioni, le brucianti sconfitte, la capacità di sacrificio dei protagonisti, il loro attaccamento alla religiosità dei paesi e delle comunità d’origine. Vite di condivisione e di lavoro anche con copiosi frutti di intrapresa nell’oggi. L’esodo dai nostri paesi e dal nostro Paese fu ed è testimonianza anche dell’aspetto martiriale del lavoro umano, così come l’imponente flusso delle migrazioni odierne. La dottrina sociale non teorizza soluzione tecniche, e prima ancora dei risvolti etici, indica la strada da percorrere per rimettere la statura dell’uomo intero nel suo centro sintetico ed affettivo: il cuore. Dilexit nos; “Cristo mendicante del cuore dell’uomo, il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. In questo dialogo libero ed amoroso sta il segreto di una continua ripresa di fiducia e di energia, lottando e lavorando per una convivenza umana secondo il metro infinito della dignità ontologica di ogni persona.
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