“Homo sapiens non urinat in ventum”. Mi scuso in anticipo se per qualche lettore la frase citata potrebbe sembrare irrispettosa, se non addirittura volgare per gli animi più sensibili ed educati, ma se si abitasse ad Amsterdam, in Leidseplein e dintorni, questo motto che si trova scolpito a caratteri cubitali in testa alle colonne di pietra della facciata del centro commerciale Kleine Gartmanplantsoen-Max Euweplein dal 1991 (ne è autore l’architetto Zaanen Spanjers) ci costringerebbe ogni giorno a riflettere sul suo significato.
Sinceramente non conosco le ragioni per cui è stata realizzata quest’opera (ed internet non mi ha aiutato a scoprirlo), ma basterebbe essere passati di lì una volta (come ha fatto chi scrive) o almeno essere andati una volta in Olanda per accorgersi che quel motto (che è ovviamente una battuta camuffata da proverbio latino) assume un significato molto concreto e quasi quotidiano: il vento è infatti una presenza costante e la saggezza popolare (chiamiamola così), con una immagine certamente colorita, invita a tenerne conto.
E se pensiamo alla nostra sanità, cosa suggerirebbe la saggezza popolare? Sempre facendo riferimento a una battuta, di sicuro non colorita ma col vantaggio di essere espressa nella lingua di Dante anziché in latino, ricorre frequentemente l’affermazione che “la salute è tutto”. Senza voler fare una classifica dei valori che stanno in testa alle genti italiche, mi sono però chiesto: è vero che per noi la salute è tutto? Anche se a questo “tutto” potremmo, forse più pragmaticamente e realisticamente, dare un valore un pochino meno assoluto accontentandoci di dire che la salute vale “molto”? Provo a fare qualche esempio per giustificare il senso della mia domanda e delle perplessità che ci stanno dietro.
Pensiamo alla politica. Abbiamo vissuto un periodo dominato dalla necessità di approvare una manovra economica non facile e nella quale la salute (o meglio, la sanità) è stata certamente oggetto di diatriba tra maggioranza ed opposizione più di altre materie. Ma si è trattato veramente di un dibattito che aveva al centro la sanità, come traduzione dell’idea che la salute è tutto, o si è trattato solo della naturale contrapposizione tra le parti perché sul tema sanitario (ad esempio) è più facile giocare la cattura del consenso degli elettori? Se devo esprimere un parere personale direi che vale la seconda ipotesi, in quanto negli opposti argomenti messi in campo dai contendenti non ho trovato segnali significativi per portare a dire che la salute sia tutto (o comunque molto se non tutto). I miliardi messi in campo dal Governo o quelli reclamati dalle opposizioni non sono in grado di affrontare le enormi criticità che stanno caratterizzando il SSN e pertanto dopo la manovra l’attenzione alla salute rimarrà precaria come lo era prima della manovra. Per la politica, allora, è chiaro che la salute non è tutto, e forse non è neanche molto.
Pensiamo alla società ed alla sua struttura produttiva. Sono di questi giorni le notizie che ci ricordano quante malattie professionali sono occorse l’anno passato, quanti decessi sono avvenuti per infortuni sul lavoro o per esposizioni professionali nocive (esempio: amianto), a che livelli massimi (secondo le indicazioni dell’Europa) dovremmo abbassare l’inquinamento atmosferico perché gli attuali valori producono un importante numero di malattie e di morti, e così via, tutti eventi che ci dicono che la salute non è tutto perché se ci fosse, da parte della società e della sua struttura produttiva, maggiore attenzione ad essa questi eventi negativi potrebbero essere largamente ridotti ed evitati.
Pensiamo alle persone. È noto che molte situazioni di fragilità e di malattia conclamata trovano la loro origine in atteggiamenti e comportamenti riconducibili alle persone, singole o in gruppo, e all’organizzazione della vita sociale: abitudini non salutari (fumo, alcol, droghe, …), cattiva o inadeguata alimentazione, hobbies ed attività del tempo libero che sono pericolose o dannose, comportamenti o atteggiamenti (non solo individuali ma anche organizzativi) che producono inquinamento ambientale, mancata adesione ad attività che favoriscono la salute o il riconoscimento anticipato di patologie che potrebbero quindi essere favorevolmente affrontate (vaccinazioni, screening, …), educazione sanitaria, e così via; tutto quello che in termini generali si trova raggruppato sotto il nome di prevenzione, individuale e collettiva. I numeri che descrivono questi eventi sono rilevanti e ci dicono che per tante singole persone, allora, non è vero che la salute è tutto, al punto che proprio anche per disincentivare e limitare comportamenti ed atteggiamenti che non sono salutari qualcuno ha avanzato la proposta di una tassa di scopo legata a queste attività dannose per la salute.
D’altra parte, veniamo da un periodo dove proprio la inadeguata (per non dire mancata) adesione ad indicazioni di prevenzione primaria (utilizzo di mascherine, disinfezione, limitazione dei contatti, vaccinazione, distanziamento, …) ha certamente favorito la diffusione del virus Sars-CoV-2 e danneggiato in vario modo (anche molto grave) la salute di tanti.
Ben venga quindi il dibattito, anche forte e contrapposto, sulle questioni economiche che interessano la sanità, ma non dimentichiamo che il sentire comune che porta ad affermare (spesso purtroppo solo a parole) che la salute è tutto (o per lo meno che è molto) ci spinge molto più in là. Questo sentire comune da una parte deve riguardare la politica, a cui compete certamente l’individuazione delle priorità e nel caso specifico di promuovere la salute come valore e punto di forza delle nostre società, assicurando vite salubri e promuovendo il benessere per tutti a tutte le età (con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili e svantaggiati); ma dall’altra deve riguardare la responsabilità di ciascuno di noi, perché a negare il valore elevato che la saggezza popolare darebbe alla salute partecipano in buona parte i nostri comportamenti, individuali e di gruppo, nel momento in cui deliberatamente scegliamo di adire ad azioni ed attività non salutari. E queste azioni, ad ogni buon conto, prescindono da quanto è grande il fondo sanitario, ma lo costringono ad utilizzare risorse per attività che potrebbero essere evitate. E quindi, pur non essendo forse il massimo dell’eleganza, ben venga il richiamo scolpito nella pietra che “Homo sapiens non urinat in ventum”.
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