Che la palla di neve stia ormai tramutandosi in valanga lo conferma il fatto che non occorra più cercare la Spoon River occupazionale dell’automotive nelle cronache locali. Persino La Repubblica ci è arrivata. Ancora un fall-out della crisi Volkswagen. Ancora in Piemonte. Perché a un solo mese di distanza dalla fusione con Vitesco Technologies, Schaeffler – produttore tedesco di cuscinetti e altra componentistica – ha annunciato quasi 5.000 tagli e la chiusura di due siti produttivi in Europa. Circa 2.800 faranno capo a 10 fabbriche in Germania, il resto invece fuori. E il faro si è già acceso sull’impianto di Momo, in provincia di Novara. Potrebbe infatti trattarsi di uno dei due siti che verranno chiusi definitivamente. E se la comunicazione ufficiale arriverà solo a fine anno, i tremori della crisi cominciano a diventare davvero poco ammortizzabili dalla narrativa.
In Francia, Michelin decide lo stop per due fabbriche e mette a rischio 1.300 posti di lavoro. Da subito. Insomma, l’automotive è il Covid 2.0. E in attesa che l’Europa decida di rompere gli indugi ed emettere debito comune con il badile per sostenere il comparto e le eventuali riconversioni verso il warfare imposto dalla Nato, occorre chiedersi come sia conciliabile il fatto che il piromane sia confermato a capo dei pompieri. Chi di Green deal ferisce…
Ma il peggio, forse, va cercato altrove. Per l’esattezza, nel fatto che il Day Ahead di Germania e Francia sia in impennata, addirittura con quello teutonico che ha appena raggiunto il massimo dal 16 dicembre 2022. Ovvero, piena crisi energetica da sanzioni alla Russia. Giorni del salvataggio statale di Uniper, per capirci. Di cosa si tratta? Di fatto, oggi l’attività di compravendita di elettricità nel giorno precedente alla sua reale produzione sta dicendo che la crisi industriale da collasso dell’automotive rischia di mixarsi a breve con una probabile, nuova esplosione dei costi energetici. Di fatto, la tempesta perfetta. E appare abbastanza evidente e lapalissiano il fatto che difficilmente sarà la Russia a tendere per prima una mano in direzione dell’Europa. Con l’inverno alle porte, oltretutto.
Insomma, c’è da sperare che il mantra televisivo del Winter is coming per l’Europa si traduca in fretta in Printer is coming. Perché senza l’ennesima ondata di liquidità emergenziale della Bce, il rischio è che qui davvero salti tutto per aria. E non quella pagliacciata manipolata e speculativa chiamata Borsa. L’economia reale. Il fu sottostante. La carne e il sangue di un Paese. La pentola a pressione sociale comincia a fischiare. Il coperchio rischia di non reggere ancora per molto. Dopodiché, il rischio è che l’Europa si tramuti in un’enorme Valencia a cielo aperto. Non di fango. Ma di rabbia.
E mentre vi rimbambivano per bene con lo scandalo del dossieraggio, in tal senso cosa è accaduto in Italia? Anzi, mettiamola meglio: di cosa hanno potuto evitare di parlare i media? La privatizzazione di Poste Italiane, ad esempio. A metà ottobre è giunta la notizia di tempi più lunghi per la vendita del 14%. L’avvio del collocamento doveva essere prima il 14 e poi il 21, obiettivo da incassare fissato in 2,5 miliardi. Poi, lo stop. Adesso si parla del 20 novembre. Forse, però, tutto slitterà direttamente al 2025. Perché tanta fretta, prima? E perché quel rinvio, casualmente giunto dopo che la presentazione dei conti ha fatto correre il titolo a Piazza Affari? Forse ci si è resi conti che si stava letteralmente svendendo un asset finanziario di primo livello? Forse si è scelto di sacrificare il Fondo automotive, scommettendo su un sostegno sistemico a livello europeo e incamerando quindi quasi il doppio di quanto si prevedeva dal collocamento in giallo e blu? Che altro ha coperto, poi, il pasticciaccio brutto di via Pattari 6? Ad esempio, il commissariamento a targhe alterne di Banca Progetto.
Ricordate il titolone gridato per l’inchiesta su presunti prestiti ad aziende in odore di ‘ndrangheta? Già il giorno dopo, apparentemente tutto archiviato. Il 29 ottobre si è tenuto il Cda dell’istituto. Alla presenza del neo-nominato Amministratore giudiziario, il quale ha rassicurato: La banca continua a operare con poteri invariati. Dunque, cerchiamo di capirci: o era un nuovo Banco Ambrosiano oppure perché prima urla manzoniane e poi il disinteresse più assoluto? In compenso, si è decisa l’istituzione di una task force interna per gestire gli impatti delle indagini. Traccia sui quotidiani? Munirsi di lente d’ingrandimento e lanternino in modalità Diogene. E i clienti di quella banca, come vanno valutati? Variabile non vincolante, forse?
Infine, Mps. Domani verranno presentati i conti di Rocca Salimbeni. Dopodiché partirà il nuovo collocamento da parte del Mef. Accelerato. Il terzo dal salvataggio. Il più importante, perché dovrà portare la partecipazione dello Stato sotto la quota del 20% del capitale. Insomma, il Mef si gioca non poco con questo collocamento. A cui però il presunto cavaliere bianco che i media hanno battezzato sotto le insegne di Unipol ha già detto un no, grazie che parla molto chiaro. Casualmente, salta fuori la ‘ndrangheta anche sul caso della morte di David Rossi. E che dire dello stranissimo stop sull’affaire Ita-Lufthansa? I tedeschi chiedono lo sconto come risarcimento per l’alzata d’ingegno di Unicredit con la scalata Commerzbank via swap?
Non vi pare che in questo Paese ci siano emergenze ben più serie e contingenti del chiedersi il perché Kamala Harris non abbia attratto il voto femminile? Non abbiamo abbastanza rogne domestiche per permetterci il lusso di monopolizzare l’informazione con il Muppet Show elettorale statunitense per intere settimane? Ponetevi una domanda: lo scorso giugno, televisioni e giornali Usa hanno seguito le elezioni europee dando vita a uno show isterico da cheerleaders come quello andato in scena in Italia, ad esempio? La schiavitù è prima una postura mentale che una costrizione fisica o politica.
E adesso, attenzione all’unico indicatore che davvero conti. Anzi, due. Primo, il cambio dollaro/yen, letteralmente esploso e in area di nuovo intervento della Bank of Japan. Venderà Treasuries, esacerbando la già stellare dinamica di ampliamento dei rendimenti obbligazionari Usa e inimicandosi subito il nuovo Presidente? Secondo e strettamente correlato, la decisione della Fedsui tassi di interesse di questa sera. Ci dirà chi ha venduto dopo il taglio di settembre. E per quale ragione. Forse per imporre un’agenda monetaria e finanziaria emergenziale al candidato più scomodo, quello da bruciare il prima possibile e immolare volentieri sull’altare di un debito ormai strutturalmente fuori controllo? Evitando ai Dem la pratica.
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