Una società senza eredi, che non riconosce come proprio il passato e che non ha niente da trasmettere a chi verrà dopo. La descrive Marcello Veneziani, giornalista e saggista, nel suo nuovo libro Senza eredi. Ritratti di maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella (Marsilio, 2024), che presenterà stasera, giovedì 7 novembre, alle 21, al Teatro Auditorium Angelicum di Milano (piazza Sant’Angelo angolo corso Porta Nuova-via della Moscova), dialogando con l’editorialista de La Verità Boni Castellane. La nostra, spiega Veneziani al Sussidiario, è una società che nega il passato e che per questo, senza riferimenti a quello che è stato, resta disorientata e incapace anche di proiettarsi nel futuro. I frutti di questo distacco sono diversi, la denatalità, ad esempio. Quella che stiamo vivendo è una forma di nuova barbarie dalla quale possiamo liberarci recuperando i principi di tradizione e comunità. Un contesto nel quale il voto di Trump può essere visto come un tentativo di reagire proprio alla perdita di una tradizione tipicamente americana.
Come è nata la società senza eredi e come si manifesta?
Il filo conduttore del libro è la convinzione che noi viviamo per la prima volta in una società che non riconosce eredi, che non si riconosce in nessuna identità precedente. Un fenomeno unico che ha un riflesso anche a livello sociale, di civiltà. Una civiltà che ritiene di essere auto-creata, in cui tutto ciò che è avvenuto nel passato va rimosso, cancellato, corretto, negato. Questo credo che crei una situazione di assoluto disagio e disorientamento che si riflette a livello di letteratura, di qualità di pensiero.
In cosa si manifesta questo disconoscimento dell’eredità del passato?
C’è un processo costante e continuo rispetto a tutto ciò che è accaduto nel passato: è positivo tutto ciò che si distacca dal passato stesso. Poi c’è una fuga dalla memoria storica, non esiste più il paragone con le epoche precedenti, la storia non è più maestra di vita, ma va soltanto negata; di conseguenza, si interrompe il filo della tradizione e tutto ciò che rappresenta la continuità viene spezzato: l’emancipazione è molto più importante della tradizione.
Cosa ci ha portato a pensare in questo modo?
Una serie di fattori concomitanti: il prevalere della tecnica sulla cultura, dell’economia sulla dimensione comunitaria, l’utilitarismo, il senso dell’individuo portato agli eccessi, un individualismo che si reputa autosufficiente e che quindi non ha più bisogno di avere riferimenti. È una forma di nuova barbarie di cui non ci rendiamo conto. Forse il colpo finale sarà quando l’erede universale della nostra società diventerà l’intelligenza artificiale, che immagazzina tutti i dati e risponde per noi di tutte le eredità passate.
Il disconoscimento dell’eredità del passato riguarda anche la politica; ci può dare una chiave di lettura anche dell’elezione di Trump?
Questo voto è la combinazione di due fattori: da una parte l’idea di interrompere una continuità e dall’altra un’America profonda che chiede sicurezza e continuità. E questa è proprio la ribellione a una società senza eredi. Quando si premia un leader che vuole riportare la tradizione americana al suo orgoglio e alla sua consapevolezza, si avverte il malcontento verso una società che non riconosce nulla delle sue origini se non l’idea della liberazione da tutto. Se vogliamo, il voto americano è una sorta di reazione salutare alla perdita totale di riferimento a ogni cultura e tradizione di tipo americano.
Lei parla anche di una società che è senza padri e maestri. Però qualche maestro nel libro lo indica, come Pascal, Manzoni, Proust, Ratzinger e molti altri ancora. Ci sono ancora dei modelli di riferimento?
Il mio tentativo, come già in altre opere, è quello di indicare autori, anche controversi, ma che rappresentano un riferimento importante, mentre ciò che caratterizza la nostra epoca è il rifiuto integrale di ogni eredità. Oggi ci sono gli influencer al posto dei maestri, modelli espressi dalla società dei consumi. Tutto meno che degli esempi che possano provocare positive eredità.
La società senza eredi è anche quella che rinuncia a fare figli? Il calo demografico si può spiegare in questo modo?
È la perfetta continuazione della società senza eredi. Una società che non conosce padri rifiuta anche i figli, perché rifiuta l’idea della continuità. La denatalità e il rifiuto stesso dell’idea di natività sono elementi determinanti della nostra società, prove di una società che va verso il nulla, verso la propria autoconsunzione: dopo di noi il diluvio. La società senza eredi produce anche questo effetto, che la porta all’estinzione o a sperare in procreazioni artificiali, in modificazioni genetiche, nel prolungamento inverosimile della longevità. Tutto meno che un rapporto fondato sull’idea di continuità.
Questo rifiuto della tradizione, questa visione autoreferenziale, è anche la causa della violenza che attraversa la nostra società, sia quella che caratterizza i rapporti privati, sia quella che sfocia, ad esempio, nelle guerre?
Credo che ci siano varie motivazioni per spiegare la guerra, l’aggressività, la violenza, ma sicuramente una delle cause è proprio questa: quando non si deve rispondere a niente e a nessuno, quando non c’è una civiltà rispetto alla quale commisurarsi né un’idea del passato e del futuro, se al momento ho bisogno di una somma di denaro per procurarmi qualcosa oppure di reagire all’intemperanza di qualcun altro, io uccido. Se invece ho un’idea di continuità con la vita, so che la mia esistenza non consiste in quel momento, ma deriva da una storia e ha delle responsabilità verso altri, allora abbiamo un altro tipo di reazione. Una società senza eredi è più esposta alla violenza: non dico che nasca da lì, perché la violenza accompagna l’uomo da sempre.
Come si fa a invertire questa tendenza?
Trattandosi di un libro con un taglio letterario, legato agli autori, credo che il primo consiglio sia quello di ascoltare altre opinioni, leggere, confrontare esperienze storiche diverse, mettere a paragone la nostra epoca con le altre. Il primo atto è quello di liberarsi dalla convinzione che il mondo nasca e finisca con noi: siamo anelli di una catena, non i terminali assoluti dell’umanità. Se non partiamo da questa considerazione e non cominciamo ad assumerci le nostre responsabilità rispetto al passato e rispetto al futuro, non daremo un senso al nostro presente.
Quali sono i riferimenti culturali a cui guardare per uscire dalle contraddizioni della società senza eredi? Anche l’esperienza religiosa può essere un modello?
Credo che ci siano dei principi preliminari, che si sposano anche con il senso religioso: l’idea di tradizione, che è importantissima, e l’idea di comunità, perché la nostra vita non si svolge mai da soli, ma sempre in un ambiente esterno, prossimo, cui siamo legati. Mettendo insieme tradizione e comunità si arriva a reinterpretare il bisogno di civiltà che noi abbiamo, il senso religioso che abbiamo perduto, il rapporto con il pensiero, che è sempre un filo che si trasmette di pensatore in pensatore, e quindi la cultura. Tutti fattori che derivano innanzitutto dalla riscoperta di questi elementi, che ci legano a un prima e un dopo, come la tradizione, e a un noi e non soltanto a un io, come l’idea di comunità.
(Paolo Rossetti)
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