Nella puntata di questa sera – in onda alle 21:30 su Rai 3, con l’ormai nota conduzione di Salvo Sottile – di Far West si tornerà a parlare della purtroppo famosissimi strage via D’Amelio che poco più di 32 anni fa uccise il giudice antimafia Paolo Borsellino all’epoca impegnato nella più grande inchiesta mai condotta ai danni di Cosa Nostra che era già costata la vita – solamente 57 giorni prima – al collega Giovanni Falcone che con lui aveva formato tutte le carte di quella che passo alla storia con il nome di ‘maxi inchiesta’: i giudici da tempo erano al centro del mirino delle cosche mafiose e dopo la morte del collega Paolo Borsellino era conscio di essere il prossimo nella lista nera di Totò Riina.
L’ora X della strage via D’Amelio fu quella delle 16:59 del 19 luglio 1992 quando il giudice giunse – come di consueto in ogni domenica – sotto l’abitazione della madre dopo pranzo: Borsellino scese dalla sua auto blindata affiancato dai cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina; mentre il collega Antonino Vullo stava parcheggiando si udì un enorme boato che distrusse parte delle finestre della facciata del palazzo antistante, uccidendo sul colpo il giudice e tutti e cinque gli agenti al suo seguito.
Dalle indagini che seguirono alla strage via D’Amelio si scoprì che ad esplodere fu una Fiat 126 rossa parcheggiata poco distante dal luogo in cui morì Borsellino, caricata dagli uomini del boss Riina con circa 100 chili di tritolo che erano stati consegnati – come rivelò un informatore già prima dell’esplosione – a Palermo nei giorni precedenti; in grado di trasformare il parcheggio in un vero e proprio campo di guerra pieno di detriti, resti umani e polvere.
I lunghi anni di depistaggi sulla strage via D’Amelio e l’agenda rossa di Paolo Borsellino sparita nel nulla
Dietro alla strage via D’Amelio – fu presto chiaro, per non dire ovvio – c’erano gli uomini di Totò Riina, ma per giungere ad una verità processuale ci vollero decenni, tanto che parte dei processi su quella difficile giornata si stanno celebrano ancora oggi: dalla morte di giudice – infatti – venne avviata una vera e propria macchina di depistaggi che passò attraverso una lunga lista di confessioni false (talvolta estorte dagli stessi agenti che indagavano sul caso), individui accusati che non c’entravano nulla e tante (tantissime) bugie.
Dietro ai depistaggi sulla morte di Paolo Borsellino sono in tantissimi a credere che ci sia quella famosissima agenda rossa che il giudice era solito portare sempre con sé e nella quale annotò – soprattutto nei 57 giorni successivi alla morte del collega Falcone – ogni singolo dettaglio che era riuscito a scoprire sull’organigramma delle cosche e (soprattutto) sui collusi tra le autorità e le istituzioni; che sparì misteriosamente nel nulla quel giorno, nel marasma che si generò dopo l’esplosione, sottratta – si ipotizza – da qualcuno che in qualità di ‘uomo dello stato’ aveva libero accesso alla scena del crimine e che non è mai stato individuato.